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22/10/2018 09:42:00

Castelvetrano, con "Mobbidicchi" di Bonagiuso parte la rassegna "teatrale Stràniari"

Una stagione teatrale in quello che è stato, negli anni di chiusura del Selinus, il teatro per eccellenza di Castelvetrano: il glorioso Marconi, che ospita, con grande generosità, la stagione “straniàri” diretta della "strana coppia" formata da Giacomo Bonagiuso e Fabrizio Ferracane.

Due artisti molto diversi, l'uno - Giacomo Bonagiuso - incarna il modello del radicamento, di chi in questi anni ha contribuito a tenere vivo il fuoco della cultura ed il suo primato, in tempi di decadenza etica, politica , sociale e culturale; l'altro - Ferracane - è l'emblema di quella eccellenza Castelvetranese che può contribuire a riscattare il nome ormai martoriato della Città. Ora sono insieme, in questa avventura che è fatta da tante, tantissime scommesse.

Una stagione che vede in scena i figli illustri di Castelvetrano, Ferracane, appunto, Rino Marino, Debora Messina, Sade Mangiaracina, lo stesso Bonagiuso, autore e regista del “mopbbidicchi”, ma anche dei siciliani eccellenti che nell'isola e altrove hanno raccontato questa terra contraddittoria: Alessandro Librio, musicista di enorme talento, Charley Fazio, Giacomo Guarneri, Giovanni Calcagno e Salvatore Arena. Spettacoli che "sono cavalli di battaglia - come si usa dire - e non produzioni di giro, destinate ad esaurirsi nello spazio commerciale di una stagione - sottolinea Bonagiuso. Sono volti "che hanno restituito al pubblico temi enormi del nostro tempo: dalle grandi donne, alla tragedia nel lavoro, dall'errore giudiziario, fino al tema dell'altro, dello straniero, dell’identità plurale della Sicilia e dei mostri". Sono temi importanti che si sposano alla rinascita di una collettività.

Ma per fare una stagione servono tre cose. Servono i giovani, “e così abbiamo creato un progetto di alternanza scuola lavoro con gli Istituti Superiori della Città, che ci hanno accolto come figli - nota Ferracane. E poi non c'è teatro senza anima drammaturgica e di formazione: così abbiamo pensato a fare un laboratorio e degli stage che avessero per tema la "non" recitazione. "Serve come il pane non recitare, togliersi le maschere ed esplorassi a fondo - dice Ferracane".

Faccio laboratori da 25 anni, ribadisce Giacomo Bonagiuso, e so che è dentro la sala prove che si predispongono le rivoluzioni culturali, perché in quel luogo magicamente si trasformano in domande tutte le incognite del nostro esistere e si diventa "narratori". Ecco, non recitanti ma "narraTtoriI" come noi li preferiamo chiamare.

Esordio di stagione martedì 30 ottobre, ore 21,15 con il MOBBIDICCHI, il testo scritto e diretto dallo stesso Bonagiuso, che vede in scena Martina Calandra, Massimo Pastore, Giovanni Lamia e Alessandra De Vita, insieme ai performer del Kepos Performing Theater diretto dallo stesso Bonagiuso. Uno spettacolo che ha esordito questa estate al Santuario di Malophopros e alle Saline di Marsala riscuotendo un enorme successo di pubblico e di critica.

“Mi ha sempre sconvolto questa storia – spiega Giacomo Bonagiuso- che ho pensato di prenderne spunto per una riscrittura in siciliano arcaico, che tenesse conto del viaggio attorno all’uomo. Ne è venuto fuori un testo furioso, che costringe a fare i conti con i propri demoni. Volevo ritmi frenetici e parole risuonanti, volevo una struttura universale pur facendo parlare idiomi arcaici, insomma volevo che lo spettacolo diventasse uno specchio collettivo dove guardare per spogliare ogni vanagloria, e dove riconoscere che i mostri che abitano il mondo, in realtà ci abitano, sono fantasmi della nostra mente, incubi che spesso siamo proprio noi a portare bella realtà. Con Mobbidicchi il re è nudo. Il male è “a siccu”, non a mare, né in presunti “mostri” esterni alla volontà dell’uomo. D’altronde, se esiste un testo che descrive il viaggio nel male radicale che attanaglia l’uomo e il suo cieco dolore, quello è proprio il “Moby Dick” di Melville, una sorta di Iliade della letteratura americana, che oggi, in questa riscrittura diventa anche segno linguistico profondo della nostra oscura radice. Nel nostro Mobbidichhi, il cui suono evoca la storpiatura popolare della pronuncia inglese, Achab racconta un male atroce, indicibile, una violenza perpetua e non facilmente confessabile; e la “piccola” Mobbidicchi è la destinataria di questo inconfessabile male.

Dopo la fine della stagione, che avverrà a maggio, si andrà in scena con gli oltre 60 iscritti ai laboratori di teatro, anzi di “non recitazione” - come li hanno battezzati Bonagiuso e Ferracane - tra grandi, piccoli, adolescenti e diversabili. E sarà ancora un modo per provare a far rinascere questa Città.
 



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