Dove c’era il borgo interamente raso al suolo mezzo secolo fa dal terremoto, nel 2015 stata completata l’opera ambientale di Alberto Burri che d’estate diventa palcoscenico
«Ero un ragazzo, avevo una ventina d’anni, all’epoca in tv c’era solo un canale in bianco e nero e quando vidi quelle immagini tanto drammatiche trasmesse dalla Rai ne rimasi sconvolto. Da allora mi sono rimaste dentro». Leo Gullotta ha concluso nei giorni scorsi il ciclo di spettacoli delle Orestiadi di Gibellina interpretando «La città invisibile, il Cretto», un omaggio alle vittime del terremoto del gennaio 1968. Un progetto di Alfio Scuderi, ispirato all’opera di Italo Calvino, dove Gullotta insieme a Claudio Gioè ha ripercorso memorie e narrazioni itineranti dentro il labirinto creato, tra il 1984 e l’89, da Alberto Burri sulle macerie della città rasa al suolo.
La città invisibile
«Una città diventata invisibile, appunto - sottolinea l’attore - che rinasce grazie alla cultura, in questo caso teatrale. Perché questo deve essere uno dei compiti della cultura, stimolare la crescita del territorio, a maggior ragione ricordando momenti tragici come quello di cinquant’anni fa che ingoiò letteralmente la vita di tante persone». Uno spettacolo di impegno civile, per riscoprire i resti di un passato cancellato in pochi attimi: «È un luogo della memoria - continua Gullotta - dove emerge con forza l’assurdità della natura, la sua violenza... Io sono nato a Catania, sono abituato all’esuberanza, alla pericolosità del vulcano, l’Etna, ma al Cretto sembra quasi impossibile che una città sia veramente esistita. E quello di noi teatranti ha voluto essere solo un gesto di solidarietà nei confronti di chi quella violenza inaudita ha subito. Il pensiero, poi, corre inevitabilmente a tragedie più recenti, i terremoti che negli ultimi anni si sono susseguiti e ogni volta che ci penso mi viene spontaneo chiedermi: com’è possibile il ripetersi di queste tragedie? Perché non si lavora seriamente per evitare che accadano, costruendo case sicure, invece di limitarsi a piangere i morti? Eppure si sa bene che l’Italia ha un territorio altamente sismico». In quasi sessant’anni di carriera artistica, Gullotta è stato coinvolto come attore in racconti di altre tragedie, per esempio il film «Vajont» (2001) di Renzo Martinelli: «In quel caso interpretavo il ruolo dell’ingegner Mario Pancini, considerato uno dei responsabili del crollo della diga e che si suicidò alla vigilia del processo. Il film venne girato nei luoghi del disastro e, mentre mi trovavo sul set, cercavo di capire di più, di parlare con i pochi abitanti superstiti: da parte loro notavo una profonda chiusura, la voglia forse di non ricordare una terribile esperienza che aveva annientato le loro famiglie... una condizione psicologica che, ovviamente, non potevo non rispettare. D’altro canto, non sono tipo da battere il tamburo: si può essere solidali con la gente che soffre anche in silenzio, senza bisogno di telecamere e fotografi. Però, se necessario, io ci metto la faccia».
L’impegno
E Leo ce l’ha messa la faccia, con ostinazione, anche per altre battaglie civili: «Più di vent’anni fa, tempi molto diversi da oggi, ammisi pubblicamente di essere gay e di avere un compagno con cui convivo tuttora da quasi quarant’anni. Mi sono prodigato anche a sostegno delle famiglie arcobaleno... Coraggio il mio? Forse, se si considera che viviamo in un paese dominato dall’ipocrisia, dal menefreghismo, dall’affarismo, dalle convenienze politiche... Un’ipocrisia che per esempio ci fa scoprire, solo di recente, come al solito in seguito ad altre tragedie, che esiste il fenomeno del caporalato e che dietro al caporalato c’è pure la mafia! Pensa un po’ che scoperta... Io voglio essere un attore utile - conclude - in un paese meraviglioso come il nostro, certo, dove però chi pensa disturba».
di Emilia Costantini - Corriere della Sera, Buone Notizie (qui il link)