Nel suo ristorante a Walvis Bay, città portuale della Namibia, andavano a cena vip e politici di tutto il mondo. Lo chiamò “La Marina”, un nome italianissimo per un uomo di mondo, che ha girato in lungo e in largo facendo affari di diverso tipo. Per tutti è conosciuto come il “commercialista” Vito Bigione, originario di Mazara, ha fatto affari in mezzo mondo.
E ora è latitante, un mese fa la Corte di Cassazione lo ha condannato definitivamente a 15 anni per mafia e traffico di droga. Ma quando la polizia di Mazara del Vallo è andato a casa sua a prelevarlo per portarlo in carcere non ha trovato nessuno. Volatilizzato, di lui non si hanno tracce, per questo, per i suoi trascorsi da “narcos”, è stato inserito nella lista dei 30 latitanti più pericolosi in Italia. E’ stato condannato in via definitiva a 15 anni nell’ambito dell’operazione Igres. E’ ritenuto un uomo di spicco della mafia trapanese, e in particolare quella vicina al super latitante Matteo Messina Denaro.
In Namibia lo conoscono bene. Il suo ristorante era frequentato da vip e politici. Lo ha creato proprio sul waterfront della cittadina turistica. Quattro carrozze d’un treno d’epoca messe in fila tra un’oasi verde e l’Atlantico.
Bigione, partito da Mazara, si era fatto strada. Anche perchè c’erano gli inquirenti italiani che lo cercavano. La prima accusa per traffico di stupefacenti risale al 1995 e pochi mesi dopo si trasferì in Africa stabilendosi in Namibia. Nei primi anni 2000 comincia la caccia. E’ accusato di aver organizzato tra il 1992 e il 2000 il trasporto di centinaia di chilogrammi di cocaina da Brasile, Colombia e Namibia all'Italia. Carichi finanziati dalla famiglia mafiosa Agate di Mazara del Vallo e dalla cosca di Marando di Platì, Reggio Calabria. Proprio per il suo ruolo di mediazione e raccordo tra Cosa Nostra, 'ndrangheta e cartelli colombiani, "il commercialista" era nella lista dei 30 latitanti più ricercati. Ora è tornato in quella lista.
Quando la Procura di Palermo notificò alle istituzioni della Namibia le accuse a carico di Bigione, il “commercialista” mise in moto il suo plotone di avvocati e tutte le sue conoscenze. Nel suo ristorante facevano spesso tappa politici di primo piano e qualche ministro.
Di lui scrisse Repubblica nel 2003.
Quando i magistrati di Palermo hanno inviato il loro atto d' accusa all' Alta Corte della Namibia, Vito Bigione ha cominciato a recitare l' immancabile ritornello difensivo, buono da Milano all' altra parte dell' emisfero passando per la Sicilia: «Qui c' è un complotto dei giudici», ha esclamato. Poi sono arrivati cinque dei più noti avvocati della Namibia e del Sudafrica per sostenere la causa dell' imprenditore mazarese. Non solo nelle aule di giustizia ma anche davanti all' opinione pubblica, che si è appassionata alla storia di questo emigrato bianco così influente e discusso. «Non c' è alcuna prova in quelle carte giunte dall' Italia», ha dichiarato in una conferenza stampa Van Reenen Potgieter, il più anziano del pool di legali. Bigione è rimasto in cella per tre mesi, poi l' Alta Corte lo ha scarcerato, bocciando la richiesta di estradizione italiana. Inutili i tentativi del procuratore di Windhoek, Nico Horn, il collegio giudicante, presieduto da Nic Hannah, ha ritenuto «non sufficienti le prove». Il tribunale di Agrigento avevano valutato diversamente, condannando Bigione a 14 anni. Tornato in libertà, il manager latitante ha potuto fare anche lui una dichiarazione liberatoria: «Sono solo un imprenditore che lavora nel settore della pesca da 20 anni», ha detto al "The Namibian": «Nel vostro paese sono arrivato nel ' 98, ho sempre lavorato alla luce del sole». Ma il vero difensore di Bigione è la moglie, la bella imprenditrice francese Veronique Barbier. Un giorno, i sindacati inscenarono una protesta davanti "La Marina restaurant"; Percy Charlies, il segretario dell' Unione, convocò anche i giornalisti. Disse: «Questi imprenditori sono razzisti, sfruttano il lavoro dei nostri ragazzi». E tirò fuori anche la storia di Bigione, «siciliano ricercato per mafia e droga». è stata la signora Barbier a rilasciare una replica ai cronisti: «Tutte fandonie, abbiamo spesso collaborato con il ministro del Lavoro, che può garantire per noi». E promise un tavolo di trattative. Altri imprenditori intanto ribadivano: «Bigione dà lavoro a tante persone, bisognerebbe ringraziarlo». La Direzione distrettuale antimafia di Palermo non ha mai smesso di seguire gli affari del latitante, grazie ad alcune intercettazioni telefoniche. I pm Paolo Guido, Gaetano Paci e Massimo Russo lo hanno ascoltato mentre organizzava un viaggio dalla Colombia alla Namibia, direzione finale le coste siciliane. I suoi pescherecci avrebbero portato un ingente carico di cocaina. Bigione non ha mai perso i contatti con i referenti in Cosa nostra, uno soprattutto, il leggendario padrino mazarese della Cupola, Mariano Agate, attualmente detenuto. Il carcere duro non è mai stato un ostacolo per far entrare e uscire notizie dalle celle. L' anno scorso, i complici del latitante hanno fatto spesso la spola fra la Sicilia e la Namibia. I manager della droga viaggiavano in prima classe: Palermo - Roma - Parigi o Francoforte - Johannesburg - Windhoek, capitale della Namibia. E al telefono, per tutti, Vito Bigione era «il commercialista».
E’ stato poi arrestato a Caracas, in Venezuela, nel 2004, dopo la fuga dalla Namibia, dopo che il governo che l’aveva coperto e tutelato per anni non gli dava più protezione. Grazie a lui mafia siciliana e calabrese riescono a sfruttare nuove rotte per far arrivare in Europa tonnellate di cocaina dalla Colombia.
L'ultima sua traccia è dello scorso anno, quando i carabinieri lo ritrovarono a conversare con Dario Messina, una delle persone arrestate nell'operazione "Anno Zero". "Io, quando ero la dentro, ero la dentro onorato - diceva Bigione intercettato - con cristiani che sono ancora per ora a Mazara, io mi sono fatto quello che mi sono fatto, per i fatti miei".Bigione si stava di nuovo interessando alle dinamiche della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo. La sua ambizione era quella di prendere il posto ricoperto fino a luglio 2017 da Vito Gondola, morto per cause naturali. Era quella di diventare il capo. "Ora, una volta che non c'e piu sto cristiano, per dire, cos'e che dobbiamo fare? Noi parlavamo di questo in campagna".
E così’ la provincia di Trapani ha un altro super latitante, di lui non ci sono foto in giro.