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23/07/2018 06:00:00

Petrosino e il Baglio Basile. Il resort e lo Stato che dice 19 volte “l’Imu non la pago”

 Èun viaggio attraverso la sicilianità con le sue 167 camere, il centro benessere, la grande sala ricevimenti, il parco, le palme, l’orizzonte rosso fuoco del mare di Petrosino, fino al 1980 un quartiere di Marsala. La sicilianità di Michele Licata è riassunta in questa istantanea: benché povero in canna, solo 9 mila euro dichiarati al fisco come reddito annuo, è riuscito a fare il miracolo nel settore alberghiero realizzando tra Marsala e Petrosino, ora Comune autonomo, e mille altri pertugi romantici della Sicilia, hotel da sogno da almeno quattro stelle, per capirci. Dolorosamente lo Stato italiano viene a conoscenza che Licata è accusato di truffa, riciclaggio ed evasione fiscale. A quel punto si avviano le procedure coattive e i suoi beni vengono sequestrati fino all’equivalente di 127 milioni di euro. La Procura manda i migliori amministratori che ha sul campo, il dottor Antonio Fresina commercialista in Marsala, dunque conoscitore del genius loci, e Andrea Passananti, amministratore giudiziario palermitano specializzato nella gestione di alberghi, molto stimato dall’Agenzia nazionale dei beni confiscati. I due professionisti si mettono al lavoro per ripulire i conti del Resort Baglio Basile, sbiancarne la faccia sporca e restituire lo splendore perduto. Anche il sindaco di Petrosino si mette al lavoro e si fa dare dal ragioniere del Comune il conto dell’Imu, della Tari, della Tasi che il resort sul mare non ha mai versato (come avete letto il proprietario viveva ai confini della povertà).

SONO CIRCA 700 mila euro che con gli interessi legali, le sanzioni eccetera raggiungono e superano il milione. Il sindaco convoca i nuovi amministratori i quali oppongono il divieto a norma di legge: ai beni confiscati e sequestrati è fatto salvo l’obbligo di pagare le tasse. Strano ma vero. E sempre la legge fa obbligo al Comune di Petrosino di raccogliere ogni mattina l’immondizia prodotta dal resort, e tenere efficienti i servizi idrici, l’illuminazione pubblica e ogni altra necessità. Le spese relative saranno addebitate pro quota ai residenti: è come una colletta, insomma, per un povero Cristo. Il sindaco, che si chiama Gaspare Giaccone e purtroppo per gli amministratori giudiziari sa far di conto, allora rilancia: “Non chiediamo il versamento delle tasse dovute dopo il sequestro. Regoliamo soltanto il pregresso: i crediti cioè accertati, esigibili, liquidabili”. E qui inizia la baruffa a colpi di carte bollate, perché lo Stato, giunto a Petrosino per dettare legge e imporre la leggea chi l’aveva raggirata, inizia esso stesso a resistervi sembrando il dettato costituzionale – pagare le tasse dovute – da revisionare profondamente. La vicenda dunque da tragica si trasforma in comica perché gli amministratori giudiziari eccepiscono sempre che qualcosa non quadra. Dapprima dicono: noi volentieri pagheremmo, ma non sappiamo precisamente quanto. Dov’è la certezza del diritto? Il sindaco ribatte: allora ricalcoliamo insieme le cifre, sigliamo un accordo. Un primo appuntamento, qualche mese fa, viene mancato. I due commercialisti hanno tanto da fare che non trovano il tempo per negoziare, intanto incaricano gli avvocati, pagati con i soldi che servirebbero al Comune di Petrosino, di impugnare gli atti che da quel municipio provengono. Capiamoci: i custodi del diritto non lo fanno per cattiveria, ma solo per vedere esattamente adempiuto il loro obbligo: far rispettare la legge. DUNQUE ricapitoliamo: il Comune di Petrosino vanta più di un milione di euro di tasse inevase da un signore, Michele Licata, che –imputato di vari raggiri e di altre cospicue evasioni fiscali – si è visto sottratto dallo Stato uno dei suoi beni più splendenti: il Baglio Basile. Gli amministratori giudiziari, chiamati per sanare la verifica, sempre in nome della legge rifiutano di pagare il dovuto. Nemmeno il Prefetto di Trapani, richiestogli di dirimere la scabrosa faccenda, riesce a far luce. Il Comune chiede e gli amministratori giudiziari eccepiscono. Non una ma ben 19 volte il primo chiede e per ben 19 volte i secondi fanno ricorso. E non perdono una, ma tutte e 19 le volte. Eccepiscono la regola, eccepiscono l’eccezione alla regola, eccepiscono la mediazione, eccepiscono ogni filo d’aria. Eccepiscono le eccezioni e anche la regola. Per esempio: che le somme si riferiscano a volumetrie certe, che il Comune chieda non in nome della legge ma dell’arbitrio. Perché, in effetti, il proprietario ora esautorato non ha proceduto all’accatastamento esatto dei beni. E senza catasto, sindaco caro, non si può procedere alla liquidazione del dovuto. IL SINDACO allora avanza l’obiezione: “Accatastate pure, e poi pagate”. Lo Stato, nella persona dei suoi mirabili amministratori giudiziari, s’i ndigna e protesta: “È il Comune che deve accatastare!”. Significa che il sindaco deve pagare le operazioni di verifica di una proprietà non sua. “Ma siamo pazzi? Noi dovremmo pagare per le loro insolvenze?”. Fino a quando il primo cittadino tre giorni fa non decide di bussare alla porta del ministro della Giustizia Bonafede. Lo ricevono i due sottosegretari, e uno di essi, il grillino Ferraresi, si mette le mani nei capelli. Qui siamo all’evasione dell’evasione fiscale. Allo Stato che si fa antiStato. Siamo proprio a Pirandello.   Antonello Caporale, Il Fatto Quotidiano del 22 Luglio 2018