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22/07/2018 09:15:00

"Lettera V" di Francesco Piccininno. Tratto da "Incanti partannesi"

 di Marco Marino

La memoria è intimamente legata al presente. Presente come tempo del qui e ora su cui ci affacciamo per riannodare il passato con ciò che ci sta dinanzi. Presente come dono che conserviamo, materico, per ricordare chi ha voluto indirizzarlo a noi. Ecco allora che la poesia, che della memoria è sogno, può essere vista come il luogo dell'eterno presente, e quindi come un tempo e, insieme, come un dono.

È così che leggiamo i versi di Francesco Piccininno raccolti da Gaspare Panfalone nella silloge «Incanti Partannesi». Attraversano una vita quei versi: da quando Piccininno, diciannovenne, compone le sue «Nugae» (1944), le piccole cose, fino alla pubblicazione di «Garamantes» (1968) per cui viene elogiato dal premio Nobel Salvatore Quasimodo. Attraversano una vita, quei versi, e la rendono presente, tempo e dono, di un uomo che ha dedicato la sua vita alla misura delle parole.

 

«Eleviamo un po' il canto, Muse di Sicilia!/ Non a tutti piacciono gli arbusti e le basse tamerici», scriveva nell'incipit della quarta bucolica Virgilio, desiderando poetare a proposito di temi costitutivi della sua patria. Piccininno no, vuole cantare le sue nugae, perciò ribalta la prospettiva e alle basse tamerici poco amate dal poeta mantovano sostituisce l'ampodelsma, una pianta tipica siciliana, che comunemente viene chiamata disa: una pianta, sì, ma anche un progetto di poesia che si propone di cantare il quotidiano e di legarlo al simbolico. La raccolta «Ampodelsma» oggi è racchiusa in «Incanti Partannesi» e da quelle pagine riprendiamo la poesia Lettera V.

 

***

 

     Ti scrivo da Sciacca

dove i pesci bevono fili d'oro,

e nel cielo di lacca

si possono cogliere stelle.

 

 Mi sono fatto mediterraneo

io che ero dei monti,

dove intrecciavi canestri di paglia,

e l'estate moriva

in brevi tramonti.

 

           Ho smesso la maglia

che tu mi tessevi

quando l'inverno

ruggiva alle porte,

e tingevi di sangue,

di amore e di morte.