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02/07/2018 06:00:00

Alghe scaricate a Triscina, facciamo il punto della situazione

  “Chi ha sbagliato deve pagare!”, “Li voglio in galera!”.

I cittadini, tra social e piazza, chiedono “la testa” dei colpevoli che avrebbero deciso di trasferire i cumuli di posidonia putrescente da Selinunte a Triscina.

Come abbiamo già scritto, la decisione non era stata presa dal commissario straordinario, che da un anno amministra il comune sciolto per mafia (già qualcuno, in un nobile slancio civico, aveva annunciato che “se non la toglie lui, la tolgo io a mie spese e gliela porto qui sotto il municipio”), ma l’opinione pubblica vuole legittimamente delle risposte.

E tra esposti in Procura e raccolta firme, è partita pure un’interrogazione all’Assemblea Regionale Siciliana da parte della deputata 5 Stelle Valentina Palmeri: “Quanto accaduto a Triscina non può passare inosservato – ha scritto -  L’utilizzo di una spiaggia aperta e balneabile come deposito dei detriti certamente inquinanti del dragaggio del porto di Selinunte è uno scandalo in piena regola per il quale vanno individuati i responsabili. Intervenga subito la Regione Siciliana”.

 

Per la prima volta, all’Ars viene usato un nome diverso rispetto a quello di “posidonia”. E l’ambiguità, non sta tanto nell’improduttiva discussione relativa ai distinguo tra le ormai sdoganate ed ascientifiche “alghe” rispetto al nome corretto di “foglie di posidonia”. Perché il punto non è stabilire se la posidonia sia un’alga o una pianta marina. No, il problema è capire quanto siano inquinanti i cumuli estratti dai fondali di un porto, le cui acque contengono, oltre ad idrocarburi, anche batteri fecali. Sì, perché è dentro il porto che i liquami fognari vanno a finire, quando le elettropompe delle vicine vasche di raccolta non riescono a mandare i reflui verso il depuratore.

 

Le regole dello scandalo, come giustamente la Palmeri ha definito quest’operazione di spostamento, sembrano mutevoli ed ambigue. Soprattutto perché il problema si era presentato già nel 2009 quando, invece, ad occuparsi dei lavori di estrazione e dello “smaltimento” era il Comune di Castelvetrano. Nell’aprile di quasi dieci anni fa, le alghe marce, chiuse da più di cinque mesi nelle acque del porto, stavano per essere smaltite direttamente in mare, lanciate dai cingolati al di là del molo. Intervenne l’Arpa con una denuncia alla Procura di Marsala. Non pagò nessuno. Anche perché, ciò che veniva contestato era che le alghe (anzi, la posidonia) non potevano essere ributtate in mare senza autorizzazione. Furono poi smaltite in discarica nell’autunno successivo, rimanendo tutta l’estate nella spiaggetta attigua, con i vacanzieri che facevano il bagno senza percepire alcun pericolo.

 

Nel giugno del 2012, parte del materiale estratto dal porto nella bonifica delle settimane precedenti, era invece finito lontano dal mare, in una campagna lungo la via Cavallaro. Morirono 30 alberi d’ulivo e la guardia forestale denunciò la cosa alla Procura di Marsala. Anche lì, non pagò nessuno: le alghe sarebbero state trasferite lì temporaneamente ad asciugare, per poi essere portate in discarica.

 

Nel 2014 la destinazione dei cumuli divenne via Manganelli, una strada periferica senza uscita intestata al capo della polizia. L’importante è non parlare mai di “fanghi di dragaggio”. Secondo i documenti del comune, quelli sì a firma del sindaco Felice Errante, si trattava infatti di “foglie di posidonia spiaggiata”, portate lì dai camion temporaneamente durante l’estate e destinate a ritornare in mare alla fine della stagione, per evitare l’erosione delle coste. Inutile dire che i cumuli rimasero lì per sempre. E dopo se ne aggiunsero degli altri, provenienti sempre dalle acque del porto, in seguito all’ennesima parziale bonifica.

Anche lì non ci furono manifestazioni di piazza, soprattutto perché la zona non era meta dei vacanzieri di Triscina che, invece, oggi stanno dimostrando una tale sensibilità al tema dell’ambiente che, al confronto, quella dei selinuntini sembra quasi una supina indifferenza.

Sarà forse la solita paura che, parlandone, il turismo ne possa risentire?

Difficile dirlo.

Così come è difficile pensare che l’idea di trasferire i cumuli a Triscina possa avere avuto una matrice esterna al territorio locale, fatto di persone che conoscono bene i luoghi ed i contesti. Da sempre.

La cosa singolare è che nel luglio del 2014 la montagna di melma estratta dal porto era ancora nella spiaggetta attigua. Ed i ragazzini giocavano a spalmarsela addosso, come se fosse un toccasana per la pelle (vedi foto).

 

Intanto oggi, l’ingegnere capo del Genio Civile Giuseppe Pirrello, tiene a precisare che la strada 17 di Triscina era stata individuata dai tecnici dell’ufficio VINCA (Valutazione Incidenza Ambientale) del comune e che, prima che avvenisse il trasporto, era già stato smaltito regolarmente un camion di rifiuti di ogni tipo estratti, insieme alle alghe, dai fondali del porto di Selinunte. Non solo, lo stesso ingegnere sottolinea che prima di scaricare, sulla sabbia della nuova destinazione erano già presenti sfabbricidi ed un pilastro di cemento. Ad ogni modo, le alghe, ha assicurato Pirrello, verranno smaltite in discarica a spese del Genio Civile. Evidentemente, comprese quelle che si trovano ancora sulla spiaggetta accanto al porto.

 

Dal canto suo, il dottor Andrea di Como, dirigente dell’ufficio VINCA, sottolinea di non aver avuto alcun potere autorizzativo, da ricondurre invece all’assessorato Terrritorio e Ambiente della Regione siciliana. Il suo ufficio si sarebbe espresso sulla “compatibilità ambientale del conferimento della sola posidonia”, con delle prescrizioni che sarebbero state invece disattese.

Adesso l’attesa è per i risultati dei nuovi esami effettuati sulle alghe da parte dell’Arpa. Gli esami precedenti, effettuati da un laboratorio autorizzato non avevano rilevato alcuna tossicità. E, con ogni probabilità, anche quelli dell’Arpa potrebbero dare esiti analoghi.

Rimarrebbero i rifiuti inorganici trovati dentro i cumuli, che non hanno bisogno di microscopio. E’ difficile però che una scarpa, qualche tubetto di crema e dei frammenti di reti da pesca, possano costituire la prova di un disastro ambientale.

Al momento, a prescindere dalle eventuali responsabilità penali che dovessero essere rilevate, sembra sia stato acquisito un dato importante: la differenza tra la posidonia spiaggiata e quella tirata fuori dai fondali di un porto.

 

Ci sono voluti quasi dieci anni.

 

Egidio Morici



Native | 2024-07-16 09:00:00
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