Dopo una guerra cosa resta delle parole? Riescono a significare come prima? Si alleggeriscono o si appesantiscono di odio e risentimento? Alla fine della Seconda Guerra Mondiale molti autori scelsero di scrivere la realtà dei fronti, delle città spogliate della loro dignità, della resistenza che si trasferiva dal piano dei pensieri a quello delle armi.
Altri scrittori, invece, pensarono che per tentare di descrivere davvero in profondità il vuoto individuale di quei tempi era necessario mettere in scena, sulla pagina, un'allegoria mitologica, una relazione che sapesse tracciare un filo rosso fra la gabbia del presente e le nostre radici. 1948, tornato dall'esilio Bertolt Brecht mise in scena l'Antigone. 1947, Cesare Pavese pubblicò I dialoghi con Leucò. Ma prima di tutti, il 3 giugno 1943, in pieno conflitto, Jean-Paul Sartre esordì per il teatro con Le mosche, riscrittura della tragedia di Oreste.
Settantacinque anni dopo il Teatro Abusivo di Marsala (TAM), diretto da Massimo Pastore, decide di portare sul palco del Complesso Monumentale San Pietro, il 29 e il 30 giugno alle 21.30, un pièce, liberamente tratta da Le mosche, dal titolo Eravamo troppi leggeri.
Le mosche appestano la città, sono la maledizione quotidiana che la comunità sconta a causa dell'omicidio del re Agamennone per mano di Egisto e Clitennestra. Ora è Egisto il re e Oreste, figlio del sovrano ucciso e di Clitennestra, di ritorno dal suo confino, si lascia convincere dalla sorella Elettra a dare sfogo alla vendetta e uccide Egisto e sua madre. Regicida e matricida, il nostro antieroe crede che la sua scelta restituisca libertà al suo popolo, ma si sbaglia: viene visto come il gesto di un terrorista contro la tranquillità della città.
«Eravamo troppo leggeri, Elettra: ora i nostri piedi sprofondano nella terra come le ruote di un carro in una carreggiata». È un riadattamento de Le mosche, questo curato dal regista Massimo Pastore, per ritrovare la consistenza, la responsabilità smarrita delle parole. Per rispondere all'ostilità del linguaggio che ci circonda, a cui tutti sembriamo esserci abituati. Per rimpossessarci delle idee che si nascondono terrorizzate dietro le parole: libertà, umanità, volontà, impegno.
Dalla nota di regia leggiamo: «Forse, mai come adesso, è proprio il tempo di tornare a usare, a “sentire” parole importanti, dense. Parole capaci di farci ricordare qual è il nostro destino di uomini, quale il Senso (o, almeno, il tentativo di Senso) da dare alla nostra esistenza, quali le nostre responsabilità di esseri umani, quali le domande importanti da proteggere dal “genocidio” linguistico che stiamo lasciando perpetrare inermi, anestetizzati dalla mediocrità, sommersi dalla “cultura” del “rutto libero” di fantozziana memoria». Non ci resta che assistere.
Sul palco, in questi due giornate, vedremo: Sara Russo (Elettra); Gaspare Grimaudo (Oreste); Clelia Barbanera (Clitennestra); Giovanni Lamia (Pedagogo); Giuseppe Pantaleo (Giove); Francesco Galuppo (Egisto); Cosimo Clemenza (Sacerdote); Adele Errera (Erinni); Giovanna Messina (Erinni); Raysi Santana (Erinni); Enrico Governale (Uomo). Francesca Pipitone all'aiuto regia e Giuseppe Rindinella alle luci.
Le musiche saranno di Alfred Schnittke, György Ligeti, Antony and the Johnsons e Domenico Modugno.
L'ingresso è libero su prenotazione.