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04/06/2018 06:00:00

La Castelvetrano che si ribella e reagisce… all’etichetta di mafia

 C’è una parte di Castelvetrano che non gradisce le parole del commissario straordinario Salvatore Caccamo. Un’intervista andata in onda giovedì scorso, nel programma televisivo della Rai “Uno mattina”, ha prodotto perfino un hashtag: #sonocastelvetranesemanonsonomafioso.

In molti, il giorno dopo, hanno infatti condiviso su Facebook la foto del proprio viso con un testo che riportiamo di seguito:

Ieri, nel corso della trasmissione Uno mattina su Rai Uno, abbiamo assistito all’ennesimo attacco gratuito e palesemente diffamatorio alla città ed ai suoi cittadini. Io ho le mani e la coscienza pulita e non ci sto ad avere appiccicata addosso un’etichetta come quella ricevuta ieri e nell’ultimo anno, il prossimo passo quale sarà? Marchiarci a fuoco con la stella di David?
Cari concittadini dimostriamo la nostra assoluta estraneità ad ogni mentalità mafiosa, dimostriamolo mettendoci la faccia: 
#sonocastelvetranesemanonsonomafioso”.

 

A scatenare l’indignazione, una risposta del commissario Caccamo ad una domanda dell’inviata Rai, Carlotta Ricci, che gli aveva chiesto che cosa fosse cambiato ad un anno circa dal suo insediamento.

Il commissario aveva risposto così:

Guardi, io devo dire che il bilancio non può essere positivo. Ci troviamo di fronte ad un comune che versa in condizioni finanziarie assolutamente precarie. Tutto questo non consente di potere garantire ciò che legittimamente i cittadini oggi pretendono. Si è cercato, anche come ente sciolto per mafia, di avere un’assegnazione da parte del ministero dell’Interno. Quindi, una commissione straordinaria, che oggi rappresenta lo Stato, l’istituzione sul territorio, non viene vista di buon occhio. La realtà di Castelvetrano è un po’ più peculiare: quella diffidenza iniziale, non si è trasformata nell’auspicata collaborazione, purtroppo. Non penso che sia una questione di diffidenza oramai, ma probabilmente proprio di cultura.”

 

Mentre, sull’abusivismo, aveva detto:

Il fenomeno dell’abusivismo edilizio a Castelvetrano oggi è all’attenzione anche sotto l’aspetto legislativo. Finora non ho percepito nulla, né pressioni, né minacce. Però, se ci vogliamo riferire alle demolizioni delle abitazioni abusive, si percepisce che probabilmente qualche forma di ostacolo, anche in forma macroscopica, sarà pure posto in essere. Non dimentichiamo che tra le abitazioni abusive, c’è qualche soggetto pure controindicato”.

 

L’indignazione ha montato sui social: “Ci stanno prendendo tutti per mafiosi!”. E dopo le numerose condivisioni sui social, con tanto di “faccia”, dal virtuale si è passati al reale, dato che oggi pomeriggio alle 19,00, l’associazione “Codici” dell’avvocato Giovanni Crimi, che si occupa di “promozione, attuazione e tutela degli interessi e dei diritti del cittadino”, farà un incontro con i presidenti delle Associazioni della città, per organizzare un “dibattito aperto a tutti i cittadini su alcuni gravi problemi della città”.

 

Non è la prima volta che una parte dei Catelvetrano reagisce all’etichetta. Qualcosa di simile era già successo nel 2011, quando ad un anno dall’operazione antimafia Golem 2 (in cui arrestarono il fratello del boss), la trasmissione “Exit” di La 7, aveva fatto un servizio (dal titolo “Fratelli di mafia”) e la cittadinanza non ci aveva fatto proprio una bella figura. Un cittadino intervistato aveva addirittura detto che Matteo Messina Denaro avrebbe potuto fare il sindaco della città. Mentre l’imprenditore che aveva vinto la gara d’appalto per la costruzione del Commissariato di Polizia su un terreno confiscato alla mafia, aveva detto di aver conosciuto Giovanni Filardo, uno dei fiancheggiatori poi arrestati, proprio nel cantiere di fronte, dove stavano costruendo l’edificio per la nuova sede del Comune: “Se era cugino di Matteo Messina Denaro me lo dovevano dire le forze dell’ordine”. Era emerso che anche il cemento era stato fornito da un impianto che aveva come gestore occulto un altro fiancheggiatore rinviato a giudizio, Giovanni Risalvato.

 

In quel caso si tentò di “reagire” con un progetto, “1000 facce per Exit”, poi cambiato in “1000 facce contro la mafia”: un appello ad inviare un breve video col cellulare, in cui si dicesse qualcosa contro la mafia. Progetto che poi non fu più realizzato. Ma la città “reagì” attraverso i propri politici che votarono in consiglio comunale un documento in cui veniva aspramente criticata la trasmissione di La 7, per aver presentato “in modo distorto la realtà della città”. Ovviamente, nello stesso documento venivano condannati “fermamente la mafia e il malaffare”.

 

Oggi le cose sono cambiate: c’è l’hashtag. Ma si ha l’impressione che la ribellione si accenda per la stessa allergia all’etichetta di 7 anni fa.

“Sono castelvetranese, ma non sono mafioso” rischia di essere una identificazione in base a ciò che non si è, piuttosto che definire la volontà di stare dalla parte giusta, contro la parte sbagliata.

Qualcosa di simile a “Sono  genovese, ma non sono tirchio”.

 

Non tutti la pensano però allo stesso modo. Riportiamo di seguito un commento di Franco La Rocca, dell’associazione “Poiè”:

Non è gridando a squarciagola ‘io sono castelvetranese ma non sono mafioso’, non è battendo i pugni sul tavolo, non è prendendo a pugni quelli a cui Castelvetrano fa venire in mente la mafia, non è attaccando un uomo dello Stato che cerca, per quel che può, di rappezzare ciò che resta di una città che la mafia e le amministrazioni degli ultimi vent'anni hanno ridotto a un fantasma, non è mostrando la propria fedina penale pulita, non è mostrando i muscoli che non abbiamo che Castelvetrano diventa meno mafiosa!!!!”

 

Chissà se #sonocastelvetranesemacollaboroconlacommissione avrebbe avuto successo, in questa tiepida coscienza civica a colpi di hashtag?

 

Egidio Morici