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30/05/2018 06:00:00

Marsala, verso 38° Parallelo. Allievi: "Gli immigrati salvano la nostra democrazia"

 di Marco Marino - «Non siamo noi ad aver attraversato il confine, ma è il confine che ha attraversato le nostre vite». A pensarci bene è sempre un problema di prospettive. C'è chi guarda - o vuole guardare -  un emigrante, e chi invece davanti ad un corpo martoriato dalla fatica dello sconfinamento riconosce un uomo. Il poeta Stefano D'Arrigo scriveva che c'è differenza fra migrare ed emigrare: come se bastasse quella particella «e» legata al verbo per racchiudere tutto il dolore di una vita, la sua necessità estrema e insieme l'incondizionata speranza nel viaggio che ha intrapreso.

Giovedì 31 maggio alle Cantine Birgi (ore 19) riparte il festival letterario «38° Parallelo – Tra libri e cantine», alla sua seconda edizione sotto la direzione artistica di Giuseppe Prode. Il festival quest'anno affronterà il rapporto, visto da alcuni spesso come ossimoro, Identità-Confini e ad aprire le quattro giornate di incontri sarà il sociologo Stefano Allievi con la presentazione del suo saggio «Immigrazione. Cambiare tutto» (Editori Laterza, 2018).

Ed è con Stefano Allievi che continuiamo le nostre conversazioni preliminari per iniziare ad accendere un dibattito che prevediamo molto partecipato.

 

Cosa intende quando nel suo saggio, «Immigrazione. Cambiare tutto», sostiene che, per quanto riguarda l'immigrazione, bisogna iniziare a cambiare paradigma interpretativo?

 

Innanzitutto bisogna iniziare ad usare dei nomi più precisi. Per esempio, parliamo genericamente di immigrazione in Italia facendolo diventare un problema in sé ma senza capire che va collegato ad altri problemi: da un lato dobbiamo vedere alcuni grandi cambiamenti che stanno avvenendo, di là e di qua, come quello demografico che forse è il più clamoroso di tutti: noi siamo una popolazione che invecchia in maniera terrificante, per ogni ragazzo sotto i quindici anni ci sono due persone sopra i sessantacinque. In alcuni paesi dell'Africa da cui provengono i migranti più di metà della popolazione ha meno di vent'anni, alcuni paesi meno di quindici. Dall'altro lato dobbiamo capire meglio le mobilità. Oggi non c'è un solo paese che abbia solo ingressi o solo uscite: per ogni dieci persone che entrano in Inghilterra escono cinque inglesi, in Francia il bilancio fra ingressi e uscite è quasi uguale, in Spagna sono di più le uscite, e in Italia dall'anno scorso anche. Allora l'emergenza immigrazione assume un altro aspetto.

 

Prima sottolineava la necessità di usare parole più attente per non cadere in banali generalizzazioni È per questo che vorrei chiederle il significato, le ragioni profonde, di un'espressione molto in voga: aiutiamoli a casa loro. È davvero possibile? E soprattutto: come, in che modo è utile aiutare i rifugiati a casa loro?

 

Ma sì, io un po' ironicamente lo dico: aiutiamoli a casa loro, certo, sono d'accordo, e dove se no? Se avessimo messo un euro per ogni volta che in Italia è stato detto, il flusso di aiuti per lo sviluppo in Africa sarebbe molto più ampio. Da noi gli aiuti allo sviluppo sono una cifra relativamente modesta rispetto agli stessi obiettivi che ci siamo dati, ma più di un terzo di questi aiuti allo sviluppo li spendiamo per accogliere i richiedenti asilo, e quindi per pagare stipendi e far guadagnare italiani, non stranieri. Paradossalmente il modo migliore di aiutarli a casa loro ce lo dicono i dati: ho messo insieme i dati dell'aiuto allo sviluppo verso l'Africa, che è oltre una quarantina di miliardi di dollari, poi i soldi investiti dalle imprese straniere in Africa, più di cinquanta miliardi, poi se prendiamo le rimesse degli africani, cioè i soldi che gli africani mandano nei loro paesi, sono più di sessanta miliardi di dollari in un anno. E allora, in un certo senso, un buon modo per aiutarli a casa loro e farne venire qualcuno a casa nostra.

 

Potremmo pure sostenere che le migrazioni transnazionali, introducendo nel nostro paese nuove soggettività e quindi anche nuove rivendicazioni sociali e politiche, stanno migliorando la nostra democrazia liberale?

 

Le spese per l'accoglienza dei richiedenti asilo ci fanno accorgere che abbiamo trascurato i bisogni delle fasce deboli del nostro paese. Se c'è un insegnamento che ho tratto dalla spesa per l'accoglienza ai migranti è che bisogna ricominciare a pensare ad un welfare universale per cui l'orientamento al lavoro non serve solo ai migranti. Altra cosa: i migranti sono uno specchio terrificante per capire i nostri difetti. Immaginiamo due fratelli gemelli che vengono dalle campagne del Marocco, livello d'istruzione basso, classe sociale modesta, religione islamica, stesso livello d'istruzione, stessa cultura, stesso tutto. Immaginiamo che uno va a vivere a Napoli e l'altro a Berlino. Vi chiedo: secondo voi hanno la stessa probabilità di pagare il biglietto dell'autobus? Non è il migrante che non vuole pagare il biglietto, è invece il contesto in cui arriva che gli suggerisce «lascia perdere, non è importante». A Berlino lo stesso migrante il biglietto lo paga. Tutto ciò diventa una cartina al tornasole di problemi più generali che sono drammatici, che non sono legati all'immigrazione, ma sono legati a come funziona un paese. Allora in questo senso, se ascoltassimo questi segnali, verremmo aiutati a riflettere in maniera diversa.



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