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24/04/2018 06:00:00

Mafia, Anno Zero. Il “re dei funerali” dalle idee violente

  “Nel mentre affaccia un cornuto di CIMAROSA pentito… Prendi due ‘picciotti’ e gli vai a sparare lì… a tutti i cavalli… e già è un primo segnale!”

Sono le parole di Giuseppe Tilotta, tra gli arrestati per mafia delloperazione Anno Zero dello scorso 19 aprile, intercettato mentre parla con Antonino Triolo, arrestato nella stessa operazione.

Lorenzo Cimarosaè invece un cugino del superboss, scomparso nel gennaio del 2017 dopo una lunga malattia, avendo dato preziose indicazioni sulle dinamiche della famiglia mafiosa dei Messina Denaro.

Una posizione, quella del Tilotta, “perfettamente coerente - secondo gli investigatori -  con quanto già da lui espresso in precedenti occasioni, relativamente alla necessità di ‘fare scruscio’, ‘fare bordello’ e di adottare una strategia molto più violenta e incisiva, anche al fine di consolidare i rapporti associativi e di rafforzare l’affectio societatis”.

Ed a Triolo, che eccepisce che “per fare bordello” ci vogliono le persone adatte, il Tilotta risponde: “Ci sono i picciotti… io ne ho cinque, sei contati nelle punte delle mani e ci sono… anzi ci siamo! Senza  ‘canigghia’, perché se la dobbiamo fare una cosa la dobbiamo fare! Perché se le persone non vedono un cazzo… Se tu… Io ti metto uno schiaffo e tu non mi reagisci… tipo fai il minchione, io altri due te ne metto… Minchia ma se tu mi ‘scattii’ (se reagisci, ndr) io mi devo stare attento… perché dico: minchia questo “scattiò” e ci penso. O no?”

 

Da quello che emerge dalle carte dell’operazione Anno Zero, Giuseppe Tilotta, non sarebbe quindi un “semplice” imprenditore colluso, ma un vero e proprio appartenente alla famiglia mafiosa di Castelvetrano. Re dei funerali e testa di ponte tra Gaspare Como (uno dei due cognati al quale Matteo Messina Denaro avrebbe affidato il mandamento) e la famiglia di Campobello di Mazara, avrebbe partecipato alle decisioni su questioni di interesse della cosca. Oltre ad aver eseguito reati commissionati dallo stesso Como.

Ma dalle intercettazioni emerge anche, come sottolineano gli investigatori, il suo totale controllo nel settore economico delle onoranze funebri della città.

Un controllo basato su delle regole. Una di queste è che un’agenzia di un’altra città non può occuparsi dei morti di Castelvetrano. Se un tizio di Campobello di Mazara muore all’ospedale di Castelvetrano, il funerale glielo deve fare un’agenzia di Castelvetrano.

Tu a Campobello puoi fare tutto quello che vuoi… a Castelvetrano no! - dice Tilotta a Vito Bono (un altro arrestato sempre in Anno Zero, da poco referente di un’agenzia di Campobello) - Sei andato a trovare un cristiano per cercare due morti a Castelvetrano e portarli a voialtri. Questo non devi farlo!!!

 

Bono cerca di spiegare: “Io… a Castelvetrano non ne cerco… Io ho detto all’ospedale, se c’è qualcuno di Campobello… di Campobello!!! che ha… che muore…”.

Ma Tilotta è perentorio: “Neanche devi dirlo, perché a Castelvetrano ci siamo noialtri!”. Una sorta di garanzia riferita a tutte le agenzie del proprio territorio: “No che devono andare da Peppe Tilotta… (ma da, ndr)  tutti quelli di Castelvetrano”.

Un concetto che Bono recepisce senza fiatare, anche perché espresso davanti a Vincenzo La Cascia, esponente di spicco della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara (arrestato anche lui nell’operazione dello scorso 19 aprile) e referente, insieme al Bono, dell’agenzia funebre.

Prima di Vito Bono, l’agenzia era “patrocinata” da Filippo Sammartano (deceduto poi nel gennaio del 2016 all’età di 58 anni, per cause naturali). E dalle intercettazioni, Giuseppe Tilotta riferisce a Giuseppe Paolo Bongiorno (un altro dei 21 arrestati di Anno Zero) una vicenda spinosa. Il Sammartano aveva chiesto al marito dell’intestataria dell’impresa funebre 500 euro al mese, che dovevano essere passati alla moglie di Salvatore Messina Denaro (fratello del boss, all’epoca detenuto). “Salvo poi scoprire che - scrivono gli inquirenti – in realtà il denaro non veniva corrisposto alla famiglia del Messina Denaro, ma trattenuto dal Sammartano”.

 

Minchia, ma cose di pazzi! – racconta Tilotta al Bongiorno – Cioè, quello …inc… si prendeva i soldi e mentre se li fotteva lui i 500 euro! Infatti questo mi ha detto ‘io un paio di volte glieli ho dati… però vedevo che questo se li infilava in tasca lui!”.

Per capire meglio come stessero le cose, Tilotta si era informato con Gaspare Como e, nel dialogo con Bongiorno, riporta le sue parole: “Mia cognata che ha bisogno di soldi da altri? Se ci servono soldi, non ci siamo noi?...  Ma che minchia stai dicendo? Se  è questo… Filippo fuori dai coglioni!!”.

La chiacchierata prosegue ancora col racconto di un altro episodio, con protagonista sempre Sammartano, che avrebbe commesso un’estorsione in nome dell’anziano capomafia campobellese, Leonardo Bonafede (“zu’ Nardo”), senza che però lui ne sapesse niente. “In quell’occasione – scrivono gli inquirenti – il Sammartano aveva confessato di aver incassato la somma e di averla utilizzata per esigenze personali”.

 

Insomma, dissidi interni.

Che però avrebbero portato Giuseppe Tilotta alla convinzione che occorrerebbe avere un approccio più rigoroso nei confronti di coloro che, pur se appartenenti all’organizzazione, sbagliano: “… Glielo direi io ad un po’ di minchia… gli direi a quelli… ‘vedi che me lo prendo io un pezzo di paese… e ci faccio vedere come minchia si ragiona’”.

E i numeri, forse, ce li avrebbe pure avuti: “Farei una squadra giusta… dice ‘quello fa il gradasso’… Fuori dai coglioni! … inc… bello pulito pulito… annettato di risina… Non conviene perché a lampo ti fottono”.

Idee violente, che probabilmente non avrebbero fatto bene alla reputazione mafiosa di Matteo Messina Denaro. Certo, i magistrati hanno più volte detto che un trapanese non potrebbe mai diventare il capo di tutta Cosa nostra. A maggior ragione un trapanese che non avrebbe più il controllo dei suoi uomini. Almeno, di quelli che gli sono rimasti.

 

Egidio Morici

 

 



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