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21/04/2018 06:00:00

Mafia. L'omicidio Marcianò e il rischio di una nuova guerra. Quel boss amico dei massoni

 E’ tra le più corpose inchieste antimafia degli ultimi anni. Anno zero, l’operazione della DDA di Palermo che ha portato in cella 21 persone accusate di essere nel cerchio magico di Matteo Messina Denaro. A ricoprire il ruolo di reggenti della famiglia di Castelvetrano c’erano i due cognati del boss super latitante.
Nell’indagine emergono diverse circostanze che potrebbero spiegare fatti accaduti negli ultimi anni. Come l’omicidio di Giuseppe Marcianò, avvenuto il 6 luglio del 2017 a Campobello di Mazara con tre colpi d’arma da fuoco. Marcianò era imparentato con personaggi di spicco della mafia mazarese, infatti era genero del boss di Mazara Pino Burzotta. Un omicidio che da subito puzzava di mafia, la cui indagine passo immediatamente nelle mani degli inquirenti della DDA di Palermo. Dall’inchiesta “Anno zero” emerge qualche particolare in più su quell’omicidio. Emerge che poteva essere l’inizio di una nuova guerra di mafia e che - sempre secondo gli inquirenti - ci sarebbe alla base la sparizione di 20 milioni di euro.
Da dove nasce questo sospetto? Da un’intercettazione tra il boss di Partnna Nicola Accardo e il cugino Nicola Pandolfo. “Dovevano arrivare in Sicilia. Aveva tutte cose lui”, dice Accardo al cugino. Per gli investigatori il riferimento è alla sparizione di una somma di denaro in cui erano coinvolti Cino Urso e un non meglio identificato Giuseppe. Il Giuseppe potrebbe essere lo stesso Marcianò. “Sebbene non sia stato dimostrabile un collegamento (con l’omicidio Marcianò, ndr) non c’è dubbio che la vicenda può sicuramente inquadrarsi nel contesto mafioso trapanese” scrivono gli inquirenti.
Sono diverse le intercettazioni che portano all’omicidio Marcianò.
Uno degli amici dell’ammazzato, Filippo Dell’Aquila, viene intercettato il giorno prima dell’omicidio mentre parla con la moglie. “Me ne devo andare, devo capire cosa succede”. Qualche giorno dopo spiega sempre alla moglie che quell’omicidio poteva avere un significato chiaro: Il problema è come l’hanno ammazzato, di solito fanno sparire, mi capisci? Quello era un messaggio. Quando li fanno così è perche c’e chi capisce e si ritira, c’e chi non capisce e ammazzano a tutti. Boh, in tutte le cose c’e da pagare un prezzo”.

E poi c’è un’altra conversazione intercettata. A parlare è Raffaele Cino Urso: “Il discorso e’ che si sono messi contro cinque, sei paesi, sette paesi mi capisci? C’e da vedere li, e’ da vedere se non ha fatto pure qualche sgarro. Non e da escludere”. E ancora, l’omicidio “non viene da qua, non e’ cosa di qua, di Provincia. Purtroppo ha sbagliato, era indifendibile”.

Cino Urso sa molte cose, emerge dall’inchiesta, e conosce molta gente. Ha ottimi rapporti anche con massoni. In particolare con un iscritto alla loggia Domizio Torrigiani del Grande Oriente d’Italia. Siamo a Campobello di Mazara, piccola cittadina piena di logge. E’ emerso infatti che lo scorso maggio Urso fece leva sulle sue conoscenze nella loggia Torrigiani per sponsorizzare un’amica imprenditrice che voleva entrare nella Stella d’Oriente, una sorta di para-massoneria di origine statunitense. Una raccomandazione che ebbe gli effetti sperati. “E’ stata fatta la cerimonia solo per me”, confida la donna entusiasta al massone amico di Urso. Una cerimonia che si è tenuta al centro Casa Nathan, a Roma, sede di ritrovo della Stella d’Oriente. Il massone presentò ai suoi “fratelli” la donna amica del boss come sua nipote. L’inchiesta delinea quindi una certa vicinanza tra esponenti mafiosi e della massoneria nel Belice. Scrivono i magistrati a proposito del massone che “sono stati riscontrati rapporti con esponenti mafiosi della medesima area territoriale, come Leonardo Bonafede”. Anche lui, come Urso, uno dei boss più vicini a Matteo Messina Denaro.



Native | 2024-07-16 09:00:00
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