È un vero e proprio evento - mancava dalla capitale da almeno cinquant’anni - la retrospettiva dedicata al più celebre pittore inglese Joseph Mallord William Turner (1775 – 1851), appena iniziata al Chiostro del Bramante, a Roma.
Prima di tutto, perché è ricca di opere: una novantina di lavori tra acquarelli, disegni ed oli provenienti dalla Tate, la prestigiosa galleria londinese. Un tale numero di pezzi permette di ammirare, oltre ai più conosciuti paesaggi tipicamente inglesi - castelli, cattedrali, scogliere, città marinare - la rappresentazione delle architetture cittadine, risultato dei viaggi che l’artista amava intraprendere.
Al Chiostro del Bramante sono esposte le ville italiane, le vedute di Venezia, gli scorci romani, il monte Bianco, e altri paesaggi di montagna, una tale varietà da non rendere mai il percorso monotematico.
Grazie a tanto assortimento, il pubblico può farsi un’idea di cosa possa accadere prima della creazione di un’opera. Ad esempio, ci viene spiegato, nell’interessante e ben fatto allestimento, che il pittore non amava lavorare en plein air ma piuttosto - come si evince dai numerosi strati di pennellate presenti sui quadri - che egli faceva delle bozze nei luoghi che amava di più per poi terminarle in studio, anche grazie ad un’ottima memoria visiva.
Dietro ad un titolo in stile british, così diretto e scarno, Turner, opere della Tate, si cela una monografica affascinante e significativa, in cui seguiamo passo passo l’autore nelle sue innumerevoli sperimentazioni del colore. A tal proposito, Turner prese spunto da La teoria dei colori (1810) di Wolfgang Ghoete, per poi approfondire con ulteriori analisi.
Le tele del più grande pittore romantico sono esposte in ordine cronologico e divise in sei sezioni.
Percorrendole tutte, capiamo che non è la sua innegabile abilità artistica che lo ha reso famoso. Di certo, si nota un’ampia conoscenza della pittura classica. Inoltre, la sua ossessione di catture la luce lo ha costantemente stimolato e ha reso la sua tecnica eccellente.
Tuttavia, la genialità del pittore inglese è, più d’ogni altra cosa, la capacità di dar vita, nei suoi disegni, a suggestioni infinite. Con l’intento dichiarato di mostrare agli altri ciò che lui vedeva, il maestro inglese riesce – ancora oggi a distanza di secoli – a catturare l’attenzione dello spettatore, a colpire la sua sensibilità, ad emozionarlo.
La sua invenzione più originale – che gli vale la definizione di “primo artista contemporaneo” – è la peculiarità di dissolvere le forme di ogni scena rappresentata, in pennellate di colori limpidi. A tal proposito, egli stesso affermava: «l’indeterminatezza è il mio forte». Ogni suo paesaggio appare sfumato e quella patina che sembra offuscare tutto, trasforma il soggetto reale (il pittore parte sempre da luoghi reali) in una visione incantata, oltremodo stimolante per chi guarda.
Un pittore sensazionale, che conferma come, oltre all’abilità manuale e allo studio costante, che sono alla base di ogni successo, il talento sia qualcosa in più.
La retrospettiva sul “pittore della luce”, colui che fu il precursore degli Impressionisti, sarà visitabile fino al 26 agosto e, in quest’epoca di rumori e brutture, è altamente consigliata, soprattutto per il piacere estetico di cotanta bellezza, per lasciarsi ammaliare da quei paesaggi che sembrano infiniti.
Ma alla base di tanti capolavori c’è molto, molto di più: il talento di Turner è la capacità di accendere una scintilla nell’osservatore, di trasportarlo in quelle immagini di vastità e lasciarlo, poi, andar via con il sapore del sublime nell’animo.
Sabrina Sciabica