Il poliziotto di Marsala e il marocchino, arrestati nei giorni scorsi, potrebbero essere soltanto la punta dell’iceberg di una organizzazione criminale che opera nel traffico di documenti come passaporti e permessi di soggiorno. Un’organizzazione con persone che si sarebbero occupate dei furti, delle “soffiate”, e della vendita dei documenti rubati.
Potrebbe non finire qui, quindi, il caso dei passaporti in bianco rubati alla questura di Trapani e del clamoroso arresto di un poliziotto di Marsala.
L’inchiesta che è partita dopo la sparizione di numerosi permessi di soggiorno dalla Questura di Trapani, avvenuta un anno fa, e di 400 passaporti in bianco.
Nei giorno scorsi gli agenti della Mobile di Trapani e quelli dello Sco di Roma hanno arrestato Angelo Patriarca, 57 anni, agente di polizia del commissariato di Marsala. In manette è finito anche Rachid Dalal, 32 anni, marocchino residente a Marsala, nonchè è stata denunciata la moglie.
Quello che emerge è un giro di passaporti e permessi di soggiorno in bianco, rubati a Trapani, pronti per essere compilati e venduti nel mercato nero. Le accuse per il poliziotto e il marocchino sono di associazione a delinquere, peculato, corruzione, furto, ricettazione.
Tutto nasce dalla scomparsa di passaporti e permessi di soggiorno in bianco dalla Questura di Trapani. Nel frattempo, e qui l’indagine prende una svolta, negli aeroporti di Roma e Milano, in periodi diversi, due extracomunitari vengono fermati in possesso di passaporti originali. C’era la filigrana della Repubblica Italiana, le firme, le foto, il numero di serie. Tutto perfetto, tutto apparentemente autentico. Ma al vaglio della lettura informatica il microchip non dà nessun risultato. Nessun dato. Segno che i passaporti non erano stati rilasciati legalmente.
Interrogati dalla polizia di frontiera uno dei due extracomunitari fermati ammette di aver pagato 3 mila euro per il documento illegale. Vengono allora controllati i numeri di serie dei documenti. Sono quelli della Questura di Trapani. Fanno parte di quei 400 passaporti spariti tempo prima. Come erano spariti? Si scopre che il poliziotto Angelo Patriarca si presentò all’economo della Questura con in mano una delega per ritirare i passaporti per conto del dirigente del commissariato di Mazara. Ma non era vero nulla, il commissario capo non sapeva niente e non aveva dato nessuna autorizzazione. Allora i poliziotti di Trapani e soprattutto lo Sco di Roma proseguono l’indagine con cautela, proprio perchè coinvolto un agente di polizia.
Si è scoperto che ogni documento veniva venduto ad una cifra che andava dai 3 mila ai 9 mila euro. Il meccanismo era questo: il poliziotto li avrebbe prelevati, il cittadino marocchino, con la complicità della moglie, invece si occupava di venderli. Ad acquistarli, già contraffatti, erano extracomunitari che li utilizzavano per entrare in Italia o in altri Paesi Ue.
Il caso non è di poco conto, e non riguarda soltanto un semplice furto, vendita e contraffazione di documenti. Ma entra in gioco anche la sicurezza nazionale e degli altri Paesi dell’Unione europea. C’è il rischio infatti che i documenti potessero finire in mano a malintenzionati. Ma al momento nulla viene fuori dall’inchiesta riguardo una destinazione “terroristica” dei documenti. Tutto fa pensare, però, che dietro possa esserci una organizzazione criminale internazionale. L’agente di polizia fino a che punto ne sarebbe stato coinvolto? In questo momento, intanto, il poliziotto infedele è rinchiuso nel carcere di Roma Regina Coeli, ed è stato ovviamente sospeso dal servizio dal Questore di Trapani. L’altro arrestato, il cittadino marocchino, è rinchiuso nel carcere di Trapani.
Tra l'altro c’è un precedente giudiziario nel passato dell’assistente capo di polizia Angelo Patriarca. Nel 2015, infatti, la Procura di Marsala, allora diretta da Alberto Di Pisa, gli contestò il reato di «induzione indebita di dare o promettere utilità». Secondo l’accusa, infatti, il poliziotto avrebbe chiesto e ottenuto quasi 100 euro da un sudamericano, Paulo Josè Pereira, che da oltre vent’anni vive a Marsala, dicendogli che quella somma di denaro era necessaria per la pratica di rinnovo del permesso di soggiorno in Italia. L’indagine fu svolta dalla sezione di pg della Guardia di finanza della Procura marsalese, all’epoca comandata dal luogotenente Antonio Lubrano, che si è occupata di diversi casi di appartenenti alle forze dell’ordine accusati di aver commesso reati. «Agli inizi del 2013 – dichiarò il Pereira alle Fiamme Gialle - mi sono recato presso l’ufficio stranieri del Commissariato dove ho trovato Patriarca Angelo, che considerata la mia posizione lavorativa mi suggerì di richiedere, anziché il rinnovo del permesso di soggiorno, valevole due anni, la carta di soggiorno che ha una durata superiore; io mi dissi disponibile e Patriarca mi richiese, oltre al versamento di 27,50 euro che avevo già effettuato per il rinnovo del permesso di soggiorno, un ulteriore versamento di 200 euro da effettuarsi su di un bollettino che mi consegnò e la somma di 97,50 euro in contanti; io non ebbi alcuna perplessità sulla richiesta del Patriarca anche perché era una pratica nuova per me». Alla prima udienza del processo, però, nell’aprile 2016, l’avvocato difensore Francesco Vinci riuscì a bloccare il dibattimento. Il giudice Lorenzo Chiaramonte accolse, infatti, l’eccezione del legale, che evidenziò che «il reato contestato nel decreto con cui la Procura ha disposto la citazione diretta a giudizio è truffa, non è quello ipotizzato nell’avviso conclusione indagini preliminari». Il giudice dichiarò, quindi, la nullità del decreto di citazione a giudizio e rinviò gli atti al pm. Da allora, del procedimento non si è saputo più nulla.
Intanto, nell’interrogatorio di garanzia davanti al gip di Trapani Antonio Cavasino, Rachid Dalal si è avvalso della facoltà di non rispondere. A difendere il marocchino sono gli avvocati Diego e Massimiliano Tranchida, che dichiarano: "Stiamo verificando la fondatezza delle accuse"