Chi ha ucciso Mauro Rostagno? Chi ha premuto il grilletto la sera del 26 settembre 1988 a Lenzi, Valderice. Chi ha freddato il giornalista e sociologo? Il mistero è ancora vivo dopo anni di inchieste chiuse e riaperte, processi, depistaggi, e dopo la sentenza in secondo grado arrivata nei giorni scorsi. Non è stato Vito Mazzara l’esecutore materiale dell’omicidio Rostagno. Almeno così ha stabilito la Corte d’Appello di Palermo, dopo la sentenza di primo grado in cui venne condannato all’ergastolo. Confermata invece la sentenza di condanna all’ergastolo per il boss Vincenzo Virga, definito il mandante dell’omicidio. "E' stata dura - dice l'avvocato Vito Galluffo, che difendeva Mazzara con il figlio Salvatore- ma abbiamo azzerato i risultati farlocchi dell'esame del Dna che in primo grado avevano inchiodato Mazzara". Non è lui pertanto il killer che ha ucciso Rostagno, secondo i giudici. L'accusa invece aveva chiesto la conferma degli ergastoli in primo grado. "L’omicidio di Mauro Rostagno - scrivevano i giudici - era volto a stroncare una voce libera e indipendente, che denunziava il malaffare, ed esortava i cittadini trapanesi a liberarsi della tirannia del potere mafioso, era un monito per chiunque volesse seguirne l’esempio o raccoglierne l’appello, soprattutto in un'area come quella del trapanese dove un ammaestramento del genere poteva impressionare molti”.
Si dovranno attendere le motivazioni della sentenza per comprendere cosa abbia spinto i giudici ad assolvere Mazzara. Certo è che la condanna di Virga conferma l’impianto accusatorio secondo cui Rostagno è stato ucciso da Cosa nostra per le sue denunce dagli schermi della tv Rtc. Nessuna faida interna a Saman, nessuna questione “privata”, quindi. E’ stata la mafia, su volere di Vincenzo Virga, ma non si sa chi sia stato a premere il grilletto. Non ha retto infatti l’accusa a Mazzara, esperto di armi, che secondo gli inquirenti era l’esecutore materiale, in base ad aspetti tecnici legati al sovraccaricamento delle munizioni e in base alle tracce di Dna rinvenute sull’arma. Ma, come poi ha dimostrato la sentenza d’appello, la certezza dell’attribuzione di queste tracce è sempre stata molto controversa.
Altra storia è quello del coinvolgimento non solo della mafia ma anche della massoneria e servizi deviati. Due entità che sono entrate nelle indagini e nel processo ma che non hanno portato ad individuare colpevoli tra i mandanti assieme a Virga. Certo è che Rostagno aveva scoperto delle cose, tante cose, ed era diventata una voce scomoda in una città che in quegli anni era centrale nella geografia mafiosa. Perchè non c’era soltanto Vincenzo Virga, ma erano anche i tempi di Ciccio Messina Denaro, boss di Castelvetrano, padre del super latitante Matteo, e soprattutto uomo di fiducia di Riina. Trapani in quegli anni era la città delle logge massoniche coperte, crocevia di mille traffici. Mauro Rostagno aveva fondato, inoltre, a Lenzi la comunità Saman, per il recupero dei tossicodipendenti. Una delle piste, avanzate per lo più da chi ha tentato di deviare il cammino verso la verità, fu che l’omicidio Rostagno maturò per questioni interne alla comunità. Invece è stata la mafia.
Quando è stato ucciso, il 26 settembre 1988, aveva quarantasei anni e molte vite alle spalle. L’ultima, la più intensa, Mauro Rostagno la vive a Trapani. Nel capoluogo siciliano Rostagno arriva dopo un percorso travagliato. Leader con Renato Curcio del ’68 a Trento, dove da Torino si era trasferito per frequentare la nuova facoltà di sociologia, fondatore di Lotta Continua con Adriano Sofri, animatore del famoso centro culturale milanese, Macondo, punto di ritrovo di molti delusi dalla politica. Poi la scoperta delle filosofie orientali, il viaggio in India con la compagna, Chicca Roveri, la figlia Maddalena e l’amico Francesco Cardella. Infine l’ultimo approdo in Sicilia, a Lenzi, in provincia di Trapani, per dar vita a una comunità di arancioni, la Saman, che trasforma in una comunità per il recupero dei tossicodipendenti.
Ma l’impegno di Rostagno non si arresta: gli basta partecipare a una trasmissione di una piccola televisione locale, “RTC”, per capire la forza di questo mezzo. E così si reinventa giornalista, la sua passione di sempre, e dagli schermi di “RTC” inizia a denunciare le collusioni tra la mafia e la politica locale. La sua trasmissione segue, per esempio, tutte le udienze del processo per l’omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari, nel quale erano imputati i boss mafiosi Nitto Santapaola e Mariano Agate. Ma quanto di queste trame oscure aveva intuito Mauro Rostagno? E’ stato vittima di un omicidio preventivo per quello che di lì a poco si apprestava a rivelare? Che cosa conteneva la videocassetta con la scritta “Non toccare” che conservava sulla scrivania e che dopo la sua morte è scomparsa? Di sicuro, sono in molti a testimoniarlo, negli ultimi mesi della sua vita aveva scoperto qualcosa di molto importante.