Sono circa 90, a fronte di quasi 200 richieste, le parti civili ammesse nel processo che, per truffa aggravata, vede imputati, davanti al giudice monocratico Fabio Marroccoli, l’ex presidente regionale e nazionale dell’Anfe Paolo Genco, 63 anni, salemitano, nonché Aloisia Miceli, di 56, di Monreale, direttore amministrativo dell’ente di formazione travolto dall’inchiesta della Guardia di Finanza sull’utilizzo, secondo l’accusa “illecito”, dei fondi destinati alla formazione professionale, Rosario Di Francesco, mazarese, di 54, direttore della Logistica e delle Attrezzature, Paola Tiziana Monachella, di 48, responsabile dell'Anfe di Castelvetrano, e l’imprenditore Baldassare Di Giovanni, 59 anni, palermitano, titolare della “General Informatica Centro”.
Ad essere ammessi come parti civili sono stati i dipendenti dell’Anfe rimasti senza lavoro quando l’ente di formazione, scoppiato lo scandalo, non ha più ottenuto i finanziamenti regionali e per questo è stato costretto a licenziare tutti. “Se l’Anfe non avesse truffato la Regione – sostengono i dipendenti rimasti senza lavoro - quest'ultima avrebbe continuato ad erogare i fondi e i lavoratori avrebbero continuato a lavorare presso l'Ente”. Non potranno, invece, sedersi sui banchi delle parti civili, come chiesto dagli avvocati difensori Massimo Motisi (legale di Genco) e Cinzia Calafiore (legale di Monachella), quei dipendenti che non erano più tali, perché licenziati o perché si erano dimessi, già intorno al 2012 e 2013. Quindi, ben prima del tracollo dell’ente. Non ammessi neppure gli ex corsisti, le associazioni Codici Onlus e Codacons e una società creditrice (“Tesea” srl).
Alcune richieste, infine, non sono state accolte per difetto di forma. A rappresentare le parti civili sono diversi avvocati, tra i quali Natale Pietrafitta, Cettina Coppola, Donatella Buscaino, Ernesto Leone, Antonino Gucciardo, Giorgia Cerami, Marco Lo Giudice e Giovanni Villareal. Tra i difensori, invece, oltre a Motisi e Calafiore, anche Nino Caleca, Luciano Fiore, Fausto Maria Amato e Ida Giganti. Secondo il Nucleo di polizia tributaria della guardia di Finanza (operazione “Dirty training”), Paolo Genco, agli arresti domiciliari da gennaio a marzo 2017, avrebbe lucrato sugli ingenti finanziamenti destinati alla formazione professionale, attraverso tutta una serie di fatture false che avrebbero documentato spese in realtà mai sostenute.
L’ammontare della truffa contestata dalla Procura di Trapani ammonterebbe a 53 milioni di euro: somme che l’Anfe ha ottenuto da Regione e Ue tra il 2010 e il 2013.
L'indagine è sfociata nel sequestro di 41 beni immobili.