Con le arringhe degli avvocati Vito Signorello e Roberto Mangano, legali di Rosario Firenze, Benedetto Cusumano e Fedele D’Alberti, si è conclusa la fase difensiva nel processo con rito abbreviato davanti al gup di Palermo Roberto Riggio ai sei imprenditori castelvetranesi coinvolti nell’operazione antimafia “Ebano” (14 dicembre 2016) perché ritenuti “vicini” al superlatitante Matteo Messina Denaro. Al punto, secondo l’accusa, di essere precisi punti di riferimento del boss per appalti milionari in varie città siciliane.
“Dalle intercettazioni – hanno detto gli avvocati Signorello e Mangano - non si evince l’appartenenza di Rosario Firenze alla mafia. E le dichiarazioni di Lorenzo Cimarosa, inoltre, non hanno trovato riscontro. Cimarosa non ha fornito particolari”.
Per gli imputati, lo scorso 17 ottobre, i pm della Dda Carlo Marzella, Francesco Grassi e Maurizio Agnello hanno chiesto condanne per complessivi 23 anni di carcere. La pena più severa (12 anni di carcere) è stata invocata per l’imprenditore Rosario Firenze, 46 anni, processato per associazione mafiosa, fittizia intestazione di beni e turbata libertà degli incanti. Firenze è considerato l’uomo di fiducia di Messina Denaro. “Saro Firenze – ha, infatti, spiegato il defunto ‘dichiarante’ Lorenzo Cimarosa, cugino acquisito del superlatitante - è il compare di Anna Patrizia Messina Denaro, la sorella di Matteo. A lei consegna i soldi”. Tre anni di carcere, invece, sono stati chiesti per Salvatore Sciacca, 44 anni, geometra, il faccendiere considerato tuttofare e accusato di turbativa d’asta. Secondo la Dda, avrebbe intrattenuto i contatti con i funzionari “infedeli” del Comune di Castelvetrano. Infine, la condanna a due anni è stata invocata per quattro imprenditori accusati di turbativa d’asta. Sono Giacomo Calcara, di 39 anni, Benedetto Cusumano, di 69, Fedele D'Alberti, di 42, e Filippo Tolomeo, di 39. La sentenza potrebbe essere emessa il 5 marzo, quando i pm potrebbero replicare ai difensori. A contestare le conclusioni dell’accusa sono già stati, nelle precedenti udienze, gli avvocati Francesco Messina, difensore di Tolomeo e Calcara, nonché Roberto Tricoli e Vincenzo Salvo, legali di Sciacca. Messina, in particolare, ribadendo la “legittimità dell’operato” dei sui assistiti, ha sostenuto: “Tolomeo e Calcara si sono affidati al geometra Sciacca per la predisposizione delle carte necessarie a partecipare a una gara d’appalto. Lavoro che Sciacca, dietro pagamento di piccole somme a titolo di onorario, faceva per molte imprese. Il fatto strano, però, è che l’accusa sostiene che gli appalti venivano pilotati con delle percentuali di ribasso appositamente stabilite da Sciacca, che lavorava per l’imprenditore Firenze. Ma non per Rosario Firenze. Lui, infatti, lavorava per Vincenzo Firenze, i cui figli sono Massimiliano e Giovanni. Rosario Firenze, fratello di questi ultimi due, non c’entrava niente, però, con la ‘Firenze srl’. Secondo noi, inoltre, non c’è prova del cartello di imprese per gestire le percentuali di ribasso negli appalti pubblici, né all’epoca dei fatti Tolomeo e Calcara sapevano della presunta vicinanza di Saro Firenze alla mafia e a Messina Denaro. Lorenzo Cimarosa ne ha parlato tempo dopo. Per noi, quindi, è un’assurdità contestare l’aggravante mafiosa a Sciacca, Tolomeo e Calcara”. Gli avvocato Messina e Tricoli hanno concluso affermando: “Non si può sostenere, come di fatto sostiene la Dda, che a Castelvetrano c’è condizionamento mafioso perché si è nella città di Matteo Messina Denaro. Non si può, insomma, legare il concetto di condizionamento mafioso a quello di territorialità”.