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21/01/2018 06:00:00

"Wolfy": dal nuovo cinema russo, la storia di un disastro esistenziale

 Ho amato fin da subito Tarkovskij. Come non seguire la storia amara del suo giovane Ivan, ed innamorarsene. E forse quel film, poi bissato da “Zerkalo” – ma con qualche ‘problema’ in più di coordinate cognitive e di fascinazione, che non puoi lasciarle scorrere senza capirne il guaio! –, s’affrettò a sussurrarmi al cuore che – spesso – è con gli occhi del bambino che il mondo si mostra a se stesso.

Chi segue questa rubrica, si ricorderà sicuramente di un film propostovi la scorsa stagione, quel “Il ladro” di Pavel Ciukraj che con una classe unica ed una capacità d’affabulazione senza molti epigoni, raccontava (apertamente) lo stalinismo e (velatamente) il settennato di Boris Eltsin.

Volevo proporvi una provocazione, spero tanto agghiacciante quanto fertile di interesse cinefilo; spostare di uno scatto, di una data insomma, il programma che con Tp24 e con gli amici cineblogger avevamo già in mente, e farvi entrare in casa questo dolentissimo spaccato di provincia russa (lo si intuisce da alcuni particolari, anche se mai c’è la certezza del topos, in verità) che può appartenere a pieno diritto alla pedagogia narrativa che cerca, riuscendovi e fallendo a più livelli, di raccontarci cosa fu e cos’è oggi l’impero degli Czars. Che potrebbe essere lo squarto analitico, tipo incisione salvifica o sezione autoptica (che il mondo ognuno lo vede così, come gli pare, o seduto davanti all’etica a guarirsi l’infetto o steso sul marmo dell’estetica a produrre graziosi bigattini). Ultima annotazione: così come nel già citato “Ivanovo detstvo”, fulcro  centrale del film è l’attraversamento del bosco; qui, magari l’unica simbologia usata dal rude regista, – il quarantenne e talentuoso  Vasiliy Sigarev –, per tornare a parlarci dei tempi andati, di quando si poteva misticamente immaginare di percorrere la Russia come ‘terra cognita e sicura’.  

Buona visione, ed al prossimo film…

 

Marco Bagarella

 

 

 

Dicono del film

 

Ci viene raccontato un disastro esistenziale dove tutti sembrano insensibili al travaglio della piccola Wolfy: la nonna, la zia; nessun sorriso, neppure una carezza o una frase consolatoria. Sembra una gara a chi infierisce di più. Nessuna speranza. Solo il dialogo con un coetaneo defunto costituisce l’unica macabra luce nell’esistenza devastata della protagonista e forse una condizione alla quale la stessa anela. A mio parere Sigarev ha perso un’occasione nel realizzare questo film, perché per fare un film di nicchia non basta contrapporre una madre psicolabile che detesta tutti (perché detesta se stessa) ad un amore filiale morboso e ostinato quanto improbabile e non basta farcire il tutto con dialoghi stringati e a tratti crudi (con il dubbio che i sottotitoli li ho trovati in rete e mi sono parsi a volte approssimati). Diventa un vorrei ma non posso. Quando fai un film così o lo riempi di metafore e simbologie oppure se racconti una storia di vita vissuta devi risultare credibile. Anche la colonna sonora è assente, o meglio compare solo nel momento in cui il regista (autore anche della sceneggiatura) risolve il film e inoltra il suo inequivocabile messaggio. Ora non conosco le realtà sociali di tanta parte di Russia ma fatico a pensare che possano esistere condizioni che fabbricano personalità adulte così insensibili e disturbate.

(Tex61)

 

Il film in streaming gratuito

https://openload.co/f/ssY6tHSNDMk

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