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20/12/2017 06:00:00

C'è una parte di "società civile" che sta proteggendo Matteo Messina Denaro

C ’è un primato italiano che il mondo occidentale non ci invidia: la ricerca di un mafioso che va avanti da venticinque anni. Quest’uomo potente e ricco, diventato invisibile, è Matteo Messina Denaro, 55 anni, della provincia di Trapani, con un carico di ergastoli sulle spalle per aver ucciso parecchi mafiosi, ma anche donne e bambini. Se un boss di questo calibro è ancora a piede libero la responsabilità è di sicuro anche di una parte della società che lo appoggia, lo favorisce e lo copre. Sarà pure una minoranza, ma di fatto prevale sulla maggioranza di persone perbene che vivono nei territori ancora “occupati” dalla mafia.

Non tutto può essere delegato alla magistratura o alle forze dell’ordine, c’è un confine di legalità e ognuno deve decidere da che parte stare. Una decisione che dovrebbe essere semplice e scontata a venticinque anni dalle stragi di Falcone e Borsellino, ma nei fatti si rivela una scelta difficile. Negli anni successivi al 1992 si era creata una mobilitazione collettiva senza precedenti, determinata non solo dall’onda emotiva popolare seguita agli attentati, ma anche dalla fiduciosa aspettativa che cultura e ripristino della le-? galità si ?traducessero nella creazione di nuovi posti di lavoro e nel rilancio dell’economia, grazie a interventi infrastrutturali finanziati con denaro pubblico. Il sopraggiungere della recessione economica e i tagli drastici alla spesa pubblica hanno messo in ginocchio l’economia della Sicilia e i territori del meridione dove dominano le mafie tradizionali, falcidiando posti di lavoro.

Si sta radicando nell’immaginario collettivo la convinzione che la promessa di coniugare legalità e sviluppo sia stata ancora una volta tradita. Anche per questo motivo oggi Matteo Messina Denaro continua a essere un latitante. Coperto e favorito da imprenditori, commercianti, politici e disoccupati. E in questa frangia grigia della società “civile” non c’è alcuna intenzione di ribellarsi alla mafia. Le intercettazioni ambientali di tante indagini continuano a rivelare collusione e omertà. Mentre viene attaccato, anche pubblicamente, chi decide di collaborare con la giustizia. Non solo i pentiti. Il procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi poche settimane fa ha sottolineato la mancanza di collaborazione delle vittime delle estorsioni, che in alcuni casi non hanno neppure denunciato i danni subiti. In Sicilia come in Calabria o in Campania. Non si chiede ai cittadini di essere eroi, ma rispettosi delle regole. C’è disillusione, soprattutto nelle fasce popolari più disagiate e che più sentono i morsi della crisi, il ripiegamento nella rassegnazione fatalistica, per consegnarsi ad una economia criminale di sussistenza.

Ci sono imprenditori che per andare avanti nella propria attività sentono il bisogno di un “passaporto sociale”, rilasciato da Cosa nostra o dalla ’ndrangheta o dalla camorra. Un passaporto che apre le porte delle banche, facilita i rapporti con gli uffici pubblici, sbaraglia ogni concorrente negli appalti. E se dietro a quel documento c’è Matteo Messina Denaro il via libera è assicurato. Anche per questo ci sono persone, delle più diverse fasce sociali, che lo amano, oltre a temerlo. Oggi rivediamo chi torna a domandare assistenza al welfare mafioso: è una mafia di nuovo considerata una “istituzione” credibile. Per questo Messina Denaro riceve l’aiuto di persone che di fatto non vedono alternative, perché lo Stato presenta lacune profonde nel presidio del territorio come dimostra anche la spavalderia degli Spada a Ostia.

I magistrati di Palermo negli ultimi anni hanno arrestato quasi tutti i familiari di Messina Denaro: sorella, cugini, cognati. Tutti coloro che gli erano vicini. Sono arrivati centinaia di sequestri di beni intestati a prestanome, confische che complessivamente superano il miliardo di euro. Nonostante ciò il sistema malavitoso non si ferma e va in aiuto a imprenditori in difficoltà o commercianti sull’orlo del baratro. C’è convenienza, ma anche compiacenza. E quindi gli imprenditori che hanno contatti con il latitante lo proteggono, nonostante in passato fosse stato offerto un “regalo” milionario a chi lo avesse fatto arrestare. Torna l’omertà e il welfare mafioso rafforza il latitante trapanese.

Lirio Abbate, L'Espresso (qui il link originale