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19/12/2017 07:09:00

Processo a Mimmo Scimonelli per omicidio Lombardo, pm Marzella chiede ergastolo

 La massima pena (ergastolo) è stata chiesta dal pm della Dda Carlo Marzella per il presunto boss mafioso di Partanna Giovanni Domenico Scimonelli, 50 anni, processato in Corte d’Assise, a Trapani, con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio di Salvatore Lombardo, ucciso con due fucilate, a Partanna, davanti il bar “Smart Cafè”, il 21 maggio 2009. L’ucciso, un pastore con precedenti penali, aveva 47 anni.

Ad indicare Scimonelli come “mandante” sono stati i due uomini che, alcuni mesi dopo l’arresto, avvenuto nel novembre 2015, hanno deciso di collaborare con la giustizia, autoaccusandosi come autori materiali del delitto: Attilio Fogazza, 45 anni, di Gibellina, e Nicolò Nicolosi, anch’egli di 45 anni, di Vita.

Lo scorso 21 aprile, Nicolosi e Fogazza (a sparare sarebbe stato il primo, mentre il secondo era alla guida dell’auto) sono stati condannati a 16 anni di carcere ciascuno dal gup di Palermo Filippo Anfuso.

Secondo l’accusa, Lombardo sarebbe stato punito per il furto di un furgone carico di merce del supermercato Despar di Partanna, di cui, all’epoca, “Mimmo” Scimonelli sarebbe stato gestore “di fatto”. Sul caso, nel 2015, ha fatto luce un’indagine dei carabinieri. Il 2 maggio 2016, Scimonelli è stato condannato a 17 anni di carcere dal gup di Palermo Walter Turturici nel processo “abbreviato” scaturito dall’operazione antimafia “Ermes”. Per l’accusa, l’imprenditore è “uomo d’onore” e “colletto bianco” tra i più vicini a Messina Denaro. A difendere Scimonelli è l’avvocato Calogera Falco, che farà la sua arringa l’8 gennaio prossimo. Puntando ancora, molto probabilmente, su quelle “piste alternative” sulle quali ha insistito nel corso del processo. Per il legale, infatti, anche altri avevano interesse ad eliminare Lombardo. Sul caso ha fatto luce l’indagine avviata dai carabinieri. Nel 2015, a segnare una svolta nel “cold case” fu un dialogo intercettato dai militari tra Giuseppe Tilotta e Giuseppe Bongiorno nell’ambito delle attività di ricerca del superlatitante Matteo Messina Denaro. Gli investigatori ascoltano i due presunti mafiosi che lamentano il disinteresse di Messina Denaro verso le sorti degli affiliati al clan. Il superlatitante è accusato di pensare solo ai sui affari e di non fare abbastanza per proteggere i componenti della famiglia mafiosa. E nel corso della telefonata, sostengono gli inquirenti, vengono svelati inconsapevolmente i killer e il movente dell’omicidio Lombardo. E per la Dda, Tilotta è attendibile perché parla del luogo e delle modalità del fatto di sangue. Scattarono, così, i provvedimenti cautelari (carcere), a fine novembre 2015, per Nicolò Nicolosi e Attilio Fogazza e poi, a metà dicembre, per Scimonelli.

Nel processo è stato ascoltato anche il maresciallo dei carabinieri Fabio Proietti, che ha svolto le prime indagini subito dopo l’omicidio, effettuando la ricognizione del cadavere e ascoltando i familiari e i clienti del bar presenti al momento del fatto di sangue. Il sottufficiale ha detto che Salvatore Lombardo viveva di espedienti illeciti, furti, ricettazioni e spaccio di marijuana e cocaina. Attività, quest’ultima, che avrebbe svolto insieme ai figli Nicola e Luigi. Proietti ha confermato che la vittima dell’omicidio acquistava e vendeva cocaina ai cugini La Grutta di Marsala e trafficava anche con il trapanese Giammarinaro Francesco, nonché con i Mulè di Camporeale.

L’investigatore ha, inoltre, confermato che grazie ad intercettazioni ambientali si è scoperto che la moglie di Lombardo e un figlio sono andati in campagna a prendere un fucile con matricola abrasa nascosto in un guard rail, anche se poi avevano negato di sapere che il congiunto tenesse armi ricettate. Proietti ha, infine, riferito che una testimone (Maria Pina Zappalà) ha dichiarato che una foto (la “foto 14”), tra le 62 che le sono state mostrate, ritraeva un uomo “somigliante” a quello che ha sparato. E la foto 14 non era quella di Nicolosi, ma di Giuseppe La Grutta, classe ’88. Poi, è stato ascoltato anche il luogotenente dei carabinieri Alberto Furia, che ha sostanzialmente confermato quanto riferito dal collega. Elementi sui quali insisterà l’avvocato difensore Calogera Falco.



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