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18/12/2017 04:55:00

Il Circolo Lilybeo e la tassazione dei tassi

di Leonardo Agate - Onore e gloria a Enrico Borgatti, milanese che con la sua signora da un paio d’anni ha scelto la nostra città per sua abituale residenza, portandovi lo spirito intraprendente  di quella parte d’Italia che tràina l’economia. Non è solo un imprenditore, è anche amante di belle lettere, e appassionato cultore di Achille Campanile, che ha voluto onorare in una serata gastronomico – culturale al Circolo Lilybeo. Ha ravvivato così l’ambiente anziano del Circolo con le letture di pagine di quel grande umorista.

 La lettura di quell’episodio campanialiano, intitolato “La quercia del Tasso”, è stata fatta da una brava giovane, ma, non essendo perfetta l’acustica della sala, se si era un poco indietro sulle sedie, alcune parole e frasi riuscivano incomprensibili. Il presidente del Circolo provvederà di sicuro a dotare la sala di un adeguato impianto audio.

 Io mi sono goduto lo stesso la lettura, che già conoscevo, e la parte che non ho potuto ascoltare chiaramente, me la sono rielaborata in testa, e ora ve la racconto così indegnamente modificata. Eppure sono sicuro che Achille Campanile ne gioirà a sentire che qualcuno, prendendo spunto da lui, segua le sue orme.

 Sul Pincio, a Roma, già nel ‘500 c’era una passeggiata dalla quale si ammirava uno splendido panorama sulla Città Eterna. I romani ci andavano a passeggiare. Anche il Tasso, il quale pure, nelle belle giornate primaverili, estive e autunnali vi andava a riposarsi e a leggere sotto una grande quercia. Non era l’unica quercia esistente lungo la passeggiata. Il Tasso scelse la prima che incontrò, che gli sembrò adatta a starvi alcune ore sotto. Un po’ più sotto di lui abitava un  tasso, piccolo mammifero. Tra il Tasso poeta e il tasso animaletto si instaurò presto una certa conoscenza, che divenne amicizia ed affetto.

 I romani avevano già notizia della grandezza del Tasso, e tornando a casa dopo la passeggiata riferivano ai familiari, che erano rimasti dentro, di essere passati vicino al Tasso. Tutto andò bene, con l’indicazione toponomastica di essere passati di lato alla quercia del Tasso.

 Senonché avvenne che un giorno il padre del grande Torquato, Bernardo, poeta pure lui ma di minore importanza, perché aveva dedicato la sua vita in parte alla poesia e in parte alle donne, andò a trovare il figlio per un abboccamento sotto la quercia. Durante la visita, notò che alcune centinaia di metri oltre c’era un’altra quercia, sotto cui anche lui avrebbe potuto andare a leggere e riposare. Così, a un certo punto i romani tornavano dalla passeggiata sul Pincio e riferivano ai familiari di essere passati davanti  al Tasso. Questo lasciava insoddisfatti i familiari rimasti a casa, che non capivano più se il passeggiatore fosse passato vicino a Torquato o a Bernardo. La soluzione migliore sembrò essere quella di chiamare il Tasso della quercia col tasso il grande Torquato e il Tasso della quercia, semplicemente, il padre Bernardo. Tutto bene fin quando non spuntò un altro animaletto, della stessa specie del primo, di sotto la quercia di Bernardo. Tutti e due, padre e figlio, stavano allora sotto una quercia col tasso, e non ci si raccapezzò più per un certo tempo nel racconto dei passeggiatori con i familiari.

 Anche stavolta il caso risolse il problema che sembrava irrisolvibile. Abbiamo detto che il vecchio Tasso era un viveur, e anche in tarda età aveva una buona conoscenza, più che conoscenza amicizia, più che amicizia una vera e propria relazione con una sua coetanea, signora ancora piacente nonostante gli anni, ma con un difetto vistoso: era guercia: il suo occhio destro era maledettamente strabico. Questo difetto, piuttosto che creare repulsione nel vecchio Bernardo, lo stimolava in tardive voglie di vecchio libidinoso. Se proprio non se n’era innamorato, se n’era invaghito.

 Poiché la intima amica guercia prese l’abitudine di accompagnare Bernardo nelle sieste sotto la quercia, i passeggiatori romani potevano tornare a casa e riferire di essere passati vicino al Tasso della guercia della quercia, se erano arrivati fino all’altezza di Bernardo; mentre riferivano di essersi spinti solo fino al Tasso della quercia, se intendevano dire di Torquato.

 Tutto anche stavolta era stato risolto, finché non ci misero di mezzo i gendarmi, che scoprirono un altro tasso sotto un’altra quercia alla fine della passeggiata. Si trattava ormai di tre tassi che stabilmente abitavano il terreno demaniale sotto le tre querce. Si trattava evidentemente di un’occupazione di suolo pubblico, adibito a tana, senza la prescritta autorizzazione. Difatti, chieste le autorizzazioni ai tre tassi, non ne ebbero risposta. La questione divenne oggetto di una accurata relazione dei gendarmi al comandante della Gendarmeria, il quale consultò codici e pandette, pervenendo alla conclusione che una tassazione doveva essere applicata ai tassi. Solo che gli fu difficile stabilire il tasso di tassazione dell’occupazione demaniale dei tassi. Trattandosi alla fine di somme modeste, il capo della Gendarmeria avrebbe potuto stabilire un minimo di tasso per i tassi, ma non si volle prendere la responsabilità, che avrebbe potuto costituire un precedente. Se, poi, - pensò il comandante - si scoprissero numerose altre occupazioni abusive di demanio pubblico da parte di altri tassi sui cinque colli di Roma, l’entità dell’entrata comunale sarebbe potuta aumentare e, se lui avesse stabilito il minimo, avrebbe potuto essere indagato dalla Corte dei Conti di allora per danno all’erario.

Per questo motivo il comandante chiese e ottenne l’istituzione di un apposito ufficio – studi sul tasso di tassazione da applicare ai tassi. Vi furono chiamati fior di esperti in materia amministrativa e fiscale, e dopo un paio d’anni la speciale commissione concluse i suoi lavori con una relazione all’unanimità, stabilendo il tasso della tassazione dei tassi. Le ingiunzioni di pagamento furono poste alla base delle tre querce, in modo che i tassi all’uscita dalla tana ne avrebbero preso visione e sarebbero andati all’Esattoria per il pagamento. Grande fu lo stupore dei funzionari comunali quando, non vedendo presentarsi i tassi con l’importo della tassazione, andarono sul posto a fare un’ispezione, notando che i piccoli animali avevano rosicchiato i documenti ingiuntivi, trasformandoli in pallottoline di escrementi dove andavano a fare i loro bisogni fisiologici.

 Fu istituito allora al Comune un altro ufficio – studi per creare le regole della repressione delle infrazioni dei tassi. Qualcuno pensò di mettere dentro i tassi, ma un altro osservò che non c’erano carceri adatte. Le cronache dell’epoca a questo punto si fermano, e forse il seguito si potrebbe rintracciare negli archivi della vecchia Roma, ammesso che altri animaletti, abbondanti in città, i topi, non abbiano mangiato e digerito da secoli i documenti.

 Ma la Storia è sempre alla ricerca del passato, e trova sempre nuove carte, quando si pensa che nulla ci sia più da trovare. Di tanto in tanto compassati storiografi chiedono il permesso di controllare vecchi e dimenticati archivi. Chissà se un giorno non sapremo la conclusione della storia della tassazione dei tassi, e quella curiosità, che  a volte non ci fa dormire, sarà soddisfatta.