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16/11/2017 07:11:00

Mafia. Chi è Becchina, il mercante d'arte accusato di essere vicino a Messina Denaro

Ieri, come abbiamo raccontato su Tp24.it, la Direzione Investigativa antimafia di Trapani ha dato esecuzione ad un decreto di sequestro dell’intero patrimonio mobiliare, immobiliare e societario riconducibile a Giovanni Franco Becchina, noto commerciante internazionale d’opere d’arte e reperti di valore storico–archeologico. Sotto sequestro finiscono le aziende Olio Verde srl, Demetra srl, Becchina&Comopany srl, terreni, conti bancari, automezzi, ed immobili, tra i quali l’antico castello Bellumvider di Castelvetrano, la cui edificazione si fa risalire a Federico II, nei secoli successivi eletto a residenza nobiliare del casato Tagliavia-Aragona-Pignatelli, principi di Castelvetrano. Il valore dei beni sequestrati è di oltre dieci milioni di euro. 

E ieri c'è stato un misterioso incendio, che ha distrutto diversi documenti, mentre la Dia stava effettuando il sequestro dell'ala del castello appartenente a Becchina. 

Ma chi è Becchina?  Originario di Castelvetrano  è stato titolare in passato titolare di una galleria d’arte a Basilea, in Svizzera, nonché di imprese operanti in Sicilia nei variegati settori del commercio di cemento, nella produzione e commercio di prodotti alimentari e olio d’oliva in Sicilia.

Per oltre un trentennio Becchina avrebbe accumulato ricchezze con i proventi del traffico internazionale di reperti archeologici, molti dei quali trafugati clandestinamente a Selinunte da tombaroli al servizio di cosa nostra.

A gestire le attività illegali legate agli scavi clandestini ci sarebbe stato l’anziano patriarca mafioso Francesco Messina Denaro, padre del latitante Matteo. Come abbiamo infatti raccontato più volte, ci sarebbe stato proprio Ciccio Messina Denaro, dietro il furto del famoso Efebo di Selinute, statuetta di grandissimo valore storico archeologico trafugata negli anni Cinquanta.

I suoi traffici illeciti sono stati attestati in una sentenza del Tribunale di Roma del 2011, mentre i legami con la mafia sono emersi nell'indagine patrimoniale nei confronti dell'imprenditore Rosario Cascio che ha portato alla confisca della Atlas cementi srl, costituita da Becchina nel 1987 e della quale Cascio era entrato a far parte nel 1991. Poi, sono arrivate anche le dichiarazioni dei pentiti Rosario Spatola, Vincenzo Calcara, Angelo Siino e Giovanni Brusca.

Emigrato da Castelvetrano in Svizzera, dopo aver subito una procedura fallimentare, nel 1976, Becchina a Basilea trovava lavoro come impiegato in una struttura alberghiera. Quindi avviava l’attività di commercio di opere d’arte e reperti archeologici, avviando la ditta Palladion Antike Kunst.

Già nel 1992, sulla base delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia che lo indicavano come vicino sia alla famiglia mafiosa di Campobello di Mazara che alla famiglia mafiosa di Castelvetrano, per conto della quale avrebbe trafficato reperti archeologici, Becchina veniva indagato per concorso in associazione mafiosa.

A metà degli anni Novanta, divenuto ormai un affermato uomo d’affari, Becchina tornava a vivere stabilmente a Castelvetrano, dove aveva anche avviato delle attività economiche ed effettuato rilevanti investimenti.

Tra le iniziative siciliane, particolare rilevanza assume la costituzione nel 1987 della Atlas società con sede a Mazara del Vallo che grazie a Cascio diventava un colosso del settore.

Nel 2001 Becchina veniva coinvolto in un'indagine della Procura di Roma, perché ritenuto a capo di un’organizzazione criminale dedita, da oltre un trentennio, al traffico internazionale di reperti archeologici, per la gran parte provenienti da scavi clandestini di siti italiani, esportati illegalmente in Svizzera per essere successivamente immessi nel mercato internazionale, anche grazie alla complicità dei direttori di importantissimi musei stranieri.

In cinque magazzini a Basilea erano custoditi migliaia di reperti archeologici risultati provenienti da furti, scavi clandestini e depredazioni di siti, oltre che un archivio con più di tredicimila documenti (fatture, lettere indirizzate agli acquirenti, immagini fotografiche di reperti) sui traffici. Le opere d'arte furono sequestrate, ma Becchina uscì indenne dal processo per prescrizione.

Brusca ha riferito che fu Totò Riina a indirizzarlo dai Matteo Messina Denaro, quando, nei primi anni Novanta, ebbe necessità di procurarsi un importante reperto archeologico, che avrebbe voluto scambiare con lo Stato italiano, per ottenere benefici carcerari per il padre. A dire di Brusca i trafficanti d’arte legati al padrino di Castelvetrano avrebbero avuto la loro base in Svizzera.

Inoltre, secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia Francesco Geraci, nella città di Basilea, Matteo Messina Denaro avrebbe voluto avviare delle attività economiche, impiegando proventi delle attività illecite della famiglia mafiosa. Sempre a Basilea si sarebbe recato più volte lo stesso latitante ed altri appartenenti alla sua cosca mafiosa per acquistare illegalmente armi da guerra.

Il pentito marsalese Concetto Mariano ha dichiarato di avere ricevuto l’incarico dai vertici del suo mandamento mafioso di trafugare il Satiro danzante conservato a Mazara del Vallo

Da ultimo, poco prima di morire, il collaboratore di giustizia castelvetranese Lorenzo Cimarosa, cugino di Messina Danaro, ha parlato dei rapporti fra Becchina e il latitante. Una confidenza che gli era stata fatta da Francesco Guttadauro, nipote del capomafia.

Difficile quantificare il valore dei beni in sequestro d’interesse storico - architettonico, che certamente ascende a svariati milioni di euro.



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