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03/06/2017 09:00:00

Mononucleosi, la malattia del bacio

 

Nella seconda metà dell’Ottocento, poiché non era ancora stato isolato il virus di Epstein-Barr la mononucleosi veniva chiamata febbre ghiandolare per via dell’ingrossamento dei linfonodi del collo. L’Ebv fu scoperto a Londra a metà anni Sessanta. Anthony Epstein e Yvonne Barr, autori della scoperta, stavano coltivando alcune cellule provenienti da pazienti ugandesi affetti da un particolare linfoma che colpiva quella zona dell’Africa. Considerato inizialmente il responsabile del tumore, il virus venne trovato nel giro di pochi anni in molte persone. Entro la fine degli anni Sessanta si sapeva quindi che il virus infettava la maggioranza delle persone, spesso senza che si manifestasse alcun sintomo specifico. La mononucleosi infettiva fu riconosciuta e descritta per la prima volta in alcuni pazienti nel 1920 ma il suo legame con il virus di Epstein-Barr fu stabilito solo nel 1968.

Colpisce nel periodo più dolce dell’adolescenza, quello dei primi baci “rubati” a scuola o durante le feste. Provoca forte mal di gola, febbre e una stanchezza che si trascina anche per settimane. È la mononucleosi, patologia conosciuta anche come la malattia del bacio perché si trasmette soprattutto attraverso la saliva e predilige bambini e adolescenti. Meno frequentemente colpisce chi beve dallo stesso bicchiere o condivide le posate con persone già infette. La mononucleosi è una malattia acuta infettiva dovuta al virus di Epstein-Barr (Ebv) che appartiene alla famiglia degli Herpes virus, molto diffusi nella popolazione.

Sono famosi l’Herpes simplex, virus che provoca la cosiddetta “febbre” sul labbro (quelle che i medici chiamano gengivostomatiti) e l’Herpes della varicella zoster. L’Ebv, oltre ad avere una predilezione per la cute, le mucose e la zona faringo-tonsillare, interessa anche le cellule del tessuto linfatico. La conseguenza di questa infezione è la stimolazione del sistema immunitario proprio perché questo virus in particolare va a infettare i linfociti. Ne consegue un numero veramente importante di patologie, tra cui però quella più acuta e che riguarda l’età pediatrica è la mononucleosi. I sintomi comuni sono: difficoltà respiratorie, dolore a deglutire e stanchezza diffusa sono i primi campanelli d’allarme dell’arrivo della malattia.

Tipicamente si tratta di una reazione acuta dell’organismo nei confronti del virus Ebv: la mononucleosi è una malattia che comincia con malessere e stanchezza, sintomi che a volte persistono anche in assenza di febbre. Però nella forma conclamata compare appunto la febbre, oltre a una faringo-tonsillite molto vistosa. Addirittura, le tonsille si coprono di placche biancastre e il ragazzino ha una difficoltà enorme a deglutire a causa del dolore che questo atto provoca. Non riesce quindi a mangiare e si idrata a stento. Oltre alle tonsille, il tessuto linfatico colpito è anche quello delle adenoidi, tanto che il bambino può parlare con una voce molto nasale. Infine, “l’interessamento dei linfonodi del collo fa sì che ci sia anche un’evidente tumefazione dei linfonodi laterocervicali.

In rari casi, il decorso della malattia può essere rallentato da un’epatite o dall’ingrossamento patologico della milza. Nella stragrande maggioranza dei casi la diagnosi si sospetta già clinicamente osservando l’insieme dei sintomi, cioè una tonsillite che non risponde all’antibiotico, la febbre, la stanchezza che non passa. Per averne conferma tuttavia basta un esame del sangue in cui si va alla ricerca degli anticorpi di classe IgM contro il Vca, che è l’antigene virale del capside del virus Ebv. A questo punto è possibile confermare la diagnosi. Occorre distinguere tra l’infezione da Ebv, che contrae la stragrande maggioranza della popolazione e che può essere asintomatica, e la mononucleosi, malattia precisa con sintomi ben definiti: Si calcola che in Europa quasi tutti i trentenni siano stati infettati dal virus di Epstein-Barr, oltre il 95%. Però non tutti contraggono la mononucleosi, ma solo un numero compreso tra il 25 e il 50% dei soggetti che hanno l’infezione.

Stando a questi numeri, che ritroviamo anche in Italia, diciamo quindi che una persona su quattro dovrebbe prendere la mononucleosi. Non trattandosi di una malattia batterica ma virale, non ha una terapia specifica. A volte, vista la gravità della tonsillite, può accadere che venga somministrato un antibiotico perché si scambia la tonsillite della mononucleosi per una di origine batterica. Tuttavia, il fatto che la febbre non passi e addirittura che la tonsillite peggiori dimostra che non si sta seguendo la terapia giusta. Solo in casi molto particolari l’indicazione può essere quella di assumere steroidi.

Quando per esempio il ragazzino non respira quasi più perché ha tonsille e adenoidi talmente ingrossate da compromettere il passaggio dell’aria. Le raccomandazioni consigliano di limitare l’uso degli steroidi ai casi di ostruzione delle vie respiratorie o di ingrossamento della milza. In questo secondo caso il rischio è quello di lesionare l’organo con un trauma minore. Siccome stiamo parlando di bambini, che tipicamente faticano a stare fermi anche quando stanno male, in alcuni casi pur senza grandi evidenze da studi scientifici possono essere prescritti gli steroidi. Nonostante si tratti di una malattia piuttosto comune, infatti, la letteratura scientifica non è molta: questa primavera una revisione degli studi esistenti pubblicata sul “Journal of American Medical Association” evidenziava proprio la carenza di conoscenza, sottolineando l’importanza di una diagnosi precoce per l’appropriatezza terapeutica.

Se il medico si accorge fin da subito che ha di fronte un caso di mononucleosi, può infatti evitare di trattare i sintomi con antibiotici che si rivelano inutili. Il virus di Epstein-Barr tende a rimanere latente nell’organismo, indipendentemente dalla mononucleosi. Come altri della stessa famiglia tende cioè a inserire il proprio Dna in quello dell’ospite. La mononucleosi di per sé al di là di un decorso più o meno lungo e di una stanchezza che può durare anche settimane non dovrebbe lasciare residui, a meno che non abbia gravi complicanze come l’encefalite. In linea di massima la mononucleosi è una malattia autolimitante. Il virus però tende a persistere come infezione latente e può riattivarsi in determinate situazioni.

Questo avviene per esempio in condizione di immunodepressione come può essere per esempio quella acquisita durante chemioterapie o trapianti con terapia immunosopressiva. In questi casi la riattivazione del virus è frequente e può portare all’insorgenza di quadri anche maligni, per esempio linfomi o altri tipi di tumori nei soggetti trapiantati. Un’altra popolazione a rischio è quella in cui ci sia un’immunosoppressione dovuta a motivi di malnutrizione o altro. Qui però entriamo nel mondo delle infezioni latenti da virus Ebv nel paziente immunodepresso che con la mononucleosi c’entra perché è lo stesso virus, ma non c’entra perché non è lo stesso paziente.
La mononucleosi si chiama così perché provoca l’aumento dei mononucleati, termine con cui vengono indicate alcune cellule ematiche tra cui i globuli bianchi.

Per questo basta una semplice analisi del sangue per individuare i valori al di sopra della norma e formulare una diagnosi. Può sembrare banale ma non lo è: famoso il caso del tennista Roger Federer che nel 2008, quando deteneva la prima posizione al mondo nel ranking dell’Association of Tennis Professionals, si ammalò di una patologia misteriosa che lo fece scendere in campo profondamente sottotono. I medici gli diagnosticarono prima un’influenza e poi un’intossicazione alimentare. Solo diverse settimane dopo i primi sintomi capirono che si trattava di mononucleosi.

Dott. Angelo Tummarello
Pediatra di famiglia
Consigliere provinciale Federazione Italiana Medici Pediatri
Ricercatore e divulgatore scientifico
Marsala
Cell.360409851
Email: dott.a_tummarello@libero.it

 



 


 



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