Era ormai un anno fa quando a Marsala scoppiava lo scandalo dell’infermiere Maurizio Spanò. Molto noto in città, Spanò è stato arrestato, ed è attualmente sotto processo, perché ha violentato decine di pazienti, sotto sedazione, dello studio medico presso il quale lavorava, lo studio medico del dottore Giuseppe Milazzo, gastroenterologo anche lui molto noto, primario attualmente a Salemi.
Spanò ha sempre ammesso tutto, gli avvocati hanno invocato per lui l’infermità mentale, una perizia sostiene che sia pienamente capace di intendere e di volere, la pubblica accusa ha chiesto tredici anni. Vedremo cosa accadrà.
Le violenze avvenivano nei confronti dei pazienti del dottore Milazzo, mentre, sedati e semi incoscienti, venivano sottoposti ad esami tra i più invasivi e delicati come la colonscopia o la laringoscopia.
Il dottore Giuseppe Milazzo, anche lui vittima di Spanò - in un certo senso - è finito nella bufera. Dopo un anno ha rilasciato un’intervista al periodico locale il Vomere in cui, sostanzialmente, dice che lui mai aveva dubitato di Spanò, che non sapeva nulla, non sospettava proprio nulla, e che soprattutto non è vero che si è liberato delle sue proprietà per evitare di pagare i danni alle vittime in caso di accertata responsabilità civile. Potete leggere l'intervista cliccando qui.
Confrontando l’intervista di Milazzo con le sue dichiarazioni rilasciate ai magistrati, e ad alcune risposte che ci ha fornito lo stesso dottore, emergono alcune contraddizioni.
Innanzitutto, cominciamo dai protagonisti della vicenda. Giuseppe Milazzo è medico internista, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Medicina e Lunga Degenza a Salemi, sostanzialmente primario. Nel 2016 la sua retribuzione è stata di circa 80.000 euro. La si può estrapolare dal database pubblico dell'Asp sulle retribuzioni dei dirigenti. Basta cliccare qui.
Sino al 2015 era responsabile dell’Unità dipartimentale di gastroenterologia ed endoscopia digestiva a Marsala. Lavora dal 1978, assunto dal 1982, come molti medici dalle nostre parti è stato impegnato in politica (ma tutti lo sono in famiglia, la sorella Antonella è deputata regionale del Pd, il fratello Michele, avvocato, è stato, anche se i più non lo ricordano, per una parentesi vice sindaco di Marsala).
Milazzo, come tanti medici affianca l’attività pubblica a quella privata. “Ho sempre lavorato come intramoenia - dichiara ai pubblici ministeri Sessa e Facciotti un anno fa, il 30 Aprile 2016 -, da qualche anno ho iniziato a lavorare come extramoenia”. Qual è la differenza? Spieghiamolo bene.
Intramoenia significa che il dottore lavora utilizzando luoghi e strutture dell’ospedale, cioè della struttura pubblica. L’Asp incassa i soldi, gliene gira una parte, circa il 40%.
Extramoenia invece significa che il dottore, che è un dipendente pubblico, lavora anche fuori dall’ospedale, per i fatti suoi, versa una percentuale all’Asp, una sorta di indennizzo.
Tra le righe dobbiamo dire che nella sanità locale funziona spesso l’intramoenia alla siciliana: il dottore ti visita in luoghi e strutture pubbliche, ma si intasca i soldi e neanche fa fattura. Ma questa è un’altra storia.
Milazzo dice ai pm che lui passa da intramoenia ad extramoenia, perchè? Testuale: “Sono passato in extramoenia perché tale tipo di rapporto rende più libero dall’azienda e per evitare eventuali responsabilità penali in caso di mancata emissione di fatture”. Che significa questa risposta? Che se ti beccano a fare del nero in intramoenia rischi grosso, ci sono anche gli estremi della truffa, viceversa, se ti beccano a fare del nero da libero professionista, fino a certi importi rischi solo una multa. Vero è che una legge del 2011 prevede che l'Ordine professionale sospenda il professionista iscritto all'albo che non fa fatture. Ma è in pratica una legge inapplicata.
Il “nero” in questa vicenda ritorna molte volte.
Nell’intervista al Vomere, invece, Milazzo non parla dell’attività extra moenia: “Da 39 anni eseguo gastroscopie, ho tutto documentato (...) Ho sempre fatto tutto secondo le regole: ogni endoscopia intramoenia è stata conteggiata all’Asl e il relativo incasso è stato devoluto in parte all’ente, esattamente come prescrive la legge (...). Ho sempre dichiarato la mia attività, versavo all’Asl la metà del mio compenso e nessuna pubblica amministrazione ha mai sollevato alcun problema”.
Abbiamo chiesto al dottore Milazzo di chiarire. Ci ha risposto testuale: "La mia attività è extramoenia ed era, così come lo è adesso, espressamente autorizzata dall’ASP".
L'altro protagonista di questa vicenda, anzi il vero protagonista, l'autore di gesti schifosi e perversi, è Maurizio Spanò, imputato oggi per le decine di violenze commesse, è infermiere, ritenuto tra i più bravi e capaci, tanto che all’ospedale di Marsala se lo contendono tutti i chirurghi, ricorda lo stesso Milazzo.
Ma Spanò poteva lavorare per il dottore Giuseppe Milazzo? Ecco qua una prima cosa da chiarire: no, non poteva. Lo dice lo stesso dottore, nel suo interrogatorio: “Sapevo che non poteva lavorare per me”. Ma intanto, lavorava.
Come? Ovviamente il rapporto di lavoro era in nero: “Ogni tanto gli davo delle regalie in soldi o gli facevo regali extra”.
A noi Milazzo, su apposita domanda, dà un'altra risposta:
Tra me e lo Spanò non intercorreva alcun tipo di rapporto lavorativo. Lo stesso mi assisteva saltuariamente, a titolo gratuito, durante gli esami che eseguivo. Il “Regolamento delle Incompatibilità del Personale” dell’ASP di Trapani, all’art. 2, vieta ai propri dipendenti di svolgere incarichi retribuiti. Ma , ripeto, lo Spanò non era da me retribuito.Da anni chiedeva di potere lavorare presso la UO da me diretta in Ospedale. Il medesimo ha relazionato nel corso di convegni e conferenze in tutta Italia e tale attività gli consentiva di accrescere la sua professionalità. Avevo anche consentito allo Spanò ed al di lui figlio di utilizzare una stanza dell’immobile di via Sanità, in Marsala, non adibita a studio medico.
Ma che ruolo aveva l'infermiere Spanò nella sedazione dei pazienti?
Qui emergono altre contraddizioni.
Tra l’altro era proprio Spanò che procacciava i farmaci per Milazzo. “Occasionalmente Spanò - racconta Milazzo ai pm - portava in studio del materiale farmaceutico (valium, buscopan, garze, siringhe, pannoloni) oltre ad altre cose tipo caffè e toner. Io a quel punto gli allungavo la somma che mi lui mi riferiva di aver speso, senza pretendere che lo stesso mi facesse vedere lo scontrino dell’acquisto dei farmaci e senza fare caso al tipo di sacchetto che li conteneva. Non credo che li rubasse all’ospedale”. “Allungavo la somma”, dice Milazzo. Cioè dava a Spanò i soldi che lui diceva di aver speso. Senza ricevuta nè nulla. In nero. Ma il Valium non è un farmaco da banco, è uno psicofarmaco potentissimo, per comprarlo ci vuole la ricetta medica.
Perché Milazzo delegava all’infermiere l’acquisto del sedativo? Dove veniva recuperato? In che modo? E dato che non c’erano ricevute nè scontrini, era anche questa un’operazione in nero? A noi Milazzo si limita a dire che "I farmaci venivano acquistati in farmacia", ma ai pm non ha detto la stessa cosa.
Nero il rapporto di lavoro. Nero l'acquisto dei farmaci, si direbbe.
Molte delle polemiche vertono sul fatto che Milazzo, secondo alcune denunce, avrebbe praticato delle anestesie in maniera abusiva, o addirittura le avrebbe delegate a Spanò (che poi si sarebbe approfittato sessualmente delle vittime dormienti). C’è un’indagine per esercizio abusivo della professione, sulla quale pende una richiesta di archiviazione. Dice Milazzo al Vomere: “Nel mio studio non si praticavano anestesie, perché i pazienti venivano soltanto sedati. Io stabilivo la dose del farmaco da iniettare e l’infermiere Spanò provvedeva a somministrarlo: attività - questa - certamente consentita da un infermiere”.
Sulla differenza tra “sedazione” e “anestesia” si gioca la difesa di Milazzo, che produce ampia letteratura medica al riguardo. Ma a noi balza agli occhi un altro dato. E cioè che più in generale, l’attività di Milazzo non era autorizzata. Proprio così. Chi lo dice? Lo ammette lo stesso medico ai pm, e, cadendo dalle nuvole, dice di averlo saputo solo dopo che è stato arrestato Spanò: “So ora ma non sapevo prima che, come per qualsiasi altra attività ambulatoriale privata - è necessaria un’autorizzazione da parte dell’Asp. Non lo sapevo”. Il primario non sa, cioè, che è necessaria un’autorizzazione del suo datore di lavoro, l’Asp, per svolgere attività ambulatoria con endoscopia e somministrazione di farmaci anestetici. Mentre a noi, su apposita domanda, risponde che: "La mia attività è extramoenia ed era, così come lo è adesso, espressamente autorizzata dall’ASP", ai giudici dice ben altro. E ammette: “Ero in buona fede - continua Milazzo - anche perché avevo comunicato all’azienda che avevo intrapreso l’attività extramoenia. Non so da che cosa dipenda l’emissione di questa autorizzazione”. Quindi non c'era autorizzazione. Al di là che, genericamente, c'è un divieto generale per il pubblico impiego di esercitare l'attività privata, come Milazzo sa, e la legge stabilisce con molta chiarezza il sistema delle autorizzazione, il regolamento, comunque, dell’Asp di Trapani è consultabile a questo link.
Chi sedava i pazienti? Lo abbiamo chiesto a Milazzo, ci ha risposto testuale: "Dopo che io avevo stabilito la dosimetria , lo Spanò provvedeva ad iniettare il farmaco: attività, questa, riservata ad un infermiere". Di diverso tenore le denunce dei pazienti. Ovviamente sono cose che dichiarano loro. Sono diverse, e concordano su alcuni particolari. Il principale: "L’anestesia veniva effettuata solo ed esclusivamente dall’infermiere in totale assenza del medico".
Sedati i pazienti, Spanò pratica i suoi squallidi atti di violenza nella stanza delle endoscopie. Milazzo non si accorgeva di nulla. Come mai? “Rimanevo - dice Milazzo ai pm - sulla soglia della porta senza vedere cosa stesse succedendo dietro la tenda; non bussavo alla porta prima di entrare; all’interno dell’esame entravo nella sala medica senza annunciarmi e senza alcun preavviso”. Attenzione, dice Milazzo ai Pm: “Mi sembra impossibile che lo Spanò sia riuscito a fare quello che ha fatto, soprattutto perché a mio modo di vedere non aveva spazio a disposizione, visto che gli esami si susseguivano in maniera frenetica”. Lo lasciava comunque da solo per effettuare il risveglio del paziente sedato.
Nell’intervista al Vomere, invece, è possibilista. In tempi e spazi così risicati era possibile compiere abusi: “Voi probabilmente vi immaginate che il vestiario di un ambulatorio si componga di pantaloni, camicia, maglione, magari. Dentro la sala endoscopica, invece, vi si accede con una tuta medica. E’ una sorta di pigiama, per capirci, che non ha ne cerniere nè bottoni. Alzarsi ed abbassarsi i pantaloni è questione non di secondi ma di attimi. Nella penombra, poi...e considerato che tra la porta d’accesso e il lettino ci stanno i separè, voi potete capire: è un attimo”.
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