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09/04/2017 06:00:00

A Marsala Sgarbi show e il suo Caravaggio gender

Da dove si comincia una critica ad un critico? Se poi il critico in questione è Vittorio Sgarbi, allora posso solo provare a limitare i danni. Tutti, o quasi, concordano sulla sua grande preparazione in fatto d’arte, allo stesso tempo, gli stessi, ammettono che è un personaggio davvero difficile in tutti gli altri ambiti.

In scena al Teatro Impero di Marsala il Caravaggio di Sgarbi, la sua personale interpretazione di un artista maledetto e straordinario come pochi ce ne sono stati. Tre schermi giganti, una sedia e, per fortuna, un musicista bravissimo, Valentino Corvino, che ogni tanto ti faceva riconciliare con il luogo: il teatro. Sì perché un evento del genere può tranquillamente essere visto grazie alla pay tv, a casa, così lo fermi ogni tanto, lo mandi avanti se necessario. E sarebbe stato necessario, più volte, mandare avanti velocemente i pistolotti omofobi di Sgarbi, le digressioni insopportabili e deliranti. Ma erano comprese nel prezzo e tutti lo sapevano che sarebbero arrivati e, probabilmente, qualcuno sarà venuto solo per quello. E con questo chiudo rispetto al personaggio.

Mi occupo ora dell’altro spettacolo, quello promesso nella locandina: Caravaggio. Si comincia con la similitudine tra la vita del Pittore e quella di Pier Paolo Pasolini, due esistenze dannate e geniali. Immagini forti, per me inedite, quelle del corpo martoriato del poeta dopo l’assassinio, la voce di Moravia fuori campo con la sua elegia funebre: brividi inevitabili. Ma questa lettura non è certo una novità. Ne ha già scritto, tra gli altri, Davide Vari nel suo saggio Nel labirinto delle passioni, in "Liberazione" del 2004.
Come del resto non è una novità uno spettacolo su Caravaggio: lo ha già fatto Dario Fo, e, mi si consenta, in quel caso il teatro ci stava tutto. Due affabulatori diversi, due punti di vista differenti anche nella lettura dell’artista. Più concentrata sulla storia quella di Fo, più centrata sulla devianza omosessuale quella di Sgarbi. Gay ovunque dentro le opere del Merisi, e chi non lo era in maniera acclarata desiderava d’esserlo, senza risparmiare neppure San Giuseppe. Nel dipinto Viaggio in Egitto, Sgarbi offre una lettura della tela davvero originale, si sofferma sul dettaglio della posa dei piedi di San Giuseppe che tradisce, a dir suo, un fremito di desiderio nei confronti dell’angelo a cui regge lo spartito. Che dire? Tutto può essere, ma io in quel momento ho temuto per le coronarie del buon Padre Ponte, arciprete di Marsala, lì, in prima fila.

Il noto critico vede qualcosa che nessuno aveva mai visto, e di questo spesso si vanta, peccato non poter più chiedere a Federico Zeri. Così come non possiamo chiedere a Freud che ne pensa di questa ossessione ormai evidente del professore. I più grandi artisti di tutti i tempi erano omosessuali, e non solo in ambito pittorico. Il suo illustre collega Bernard Berenson, non me ne voglia quest’ultimo per l’accostamento, ebbe a fare una discussione parecchio accesa con il maestro dello stesso Sgarbi, Roberto Longhi, proprio sulla presunta omosessualità di Caravaggio. Non si parlarono per diversi anni per questo motivo. Ma omosessuale lo era anche Longhi, a quanto pare, e non dev’essere stato facile per il giovane allievo maschio alfa. L’elenco dei maestri bisessuali del Rinascimento è davvero lungo, ma soprattutto inutile, perché davvero poco m’interessa questo aspetto di un artista e di chiunque in genere.

Sgarbi esercita una forte fascinazione quando racconta l’arte, sa tante cose che molti di noi non sanno ed è questa la sua grande risorsa. Difficile scindere l’uomo dal personaggio o il personaggio dal critico. Sarebbe come scegliere il medico in quanto luminare nel suo campo, ma subirne l’incapacità di relazionarsi in maniera serena, educata. L’elenco d’insulti e parolacce sparpagliate durante la serata è notevole e questo mi potrebbe autorizzare a liquidare il personaggio restituendogli il favore, mi limito a dire che la definizione che mi passa per la testa fa rima con sbronzo.
Sono andata a vedere lo spettacolo per poterne scrivere nella mia rubrica, l’ho fatto.

Katia Regina
 



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