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05/04/2017 06:00:00

"Gli altri siamo noi": la mostra fotografica al Convento del Carmine di Marsala

La Mostra nasce da un video di “Lunghezze d’Onda” – l’associazione palermitana fondata da un gruppo di appassionati fotografi e della quale fanno parte anche i protagonisti dell’evento di stasera: da Antonella Bisanti a Nino La Corte, da Morena Anzalone a Mauro Pomo – proiettato nell’ambito della “Settimana delle Culture”, nello spazio gestito dal Gruppo Emergency Palermo, presso i Cantieri Culturali della Zisa.

L’assunto di fondo, oltre che il titolo, è “Gli altri siamo noi”. Nel lavoro e nel riposo. Nella gioia e nel disagio. In Guatemala e in Malesya. In Thailandia e in Messico. In India e in Venezuela. A Tel Aviv o e a Biserta, ad Instanbul e ‘o Baddrarò. Tant’è che, proprio a proposito dei popoli che vivono affacciati sul Mediterraneo in un proficuo, plurisecolare scambio di pratiche, culture e sentimenti, Morena Anzalone – in un suo articolo pubblicato sul periodico “Dialoghi Mediterranei”- ha scritto: “Ho vissuto questa magia: chiudere gli occhi per riaprirli dentro un mercato e chiederti se sei in Sicilia o in Marocco, Tunisia, Turchia. Dentro una medina, in una casbah, fra banchi e bancarelle di un mercato ove si sente lo stesso vocìo, le stesse “banniate” da secoli incomprensibili e familiari, le stesse merci e gli stessi volti”.

Ecco: essere a migliaia di chilometri da casa senza sentirsi estranei. Certo, da siciliani, per noi è più facile che accada in un Paese Mediterraneo. Ma può accadere in qualsiasi altra parte del mondo. Se si è intimamente convinti che “Gli altri siamo noi”. Che – come urla Nanni Moretti in un suo film – “Siamo uguali, ma diversi, ma uguali, ma diversi”.

Così pensano anche questi viandanti che vagano apparentemente a casaccio ma, in realtà, sono sempre pronti come falchi a scattare o ad arrestarsi, per contemplare un paesaggio, raccontare una faccia, cogliere al volo un particolare. Capaci di muoversi rapidamente o di prendersi il tempo che basta a carpire un’espressione del viso, una torsione del corpo, uno sguardo. Preoccupati di raggiungere un’adeguata profondità di sentimento, più che una grande profondità di campo. Mossi dal desiderio della scoperta, dalla voglia di regalare un’emozione, dal gusto di catturare l’attimo irripetibile: tre atteggiamenti che riassumono – secondo Helmut Newton – l’arte della fotografia. Novelli “Vagabondi del Dharma”, la strada sembra essere la loro principale fonte d’ispirazione. Sui sentieri perigliosi di un qualche Paese Mediterraneo, raccolgono i materiali delle loro storie. Sui percorsi tortuosi di un qualche Paese Sudamericano, fissano irripetibili frammenti di realtà. Lasciandosi guidare dall’indignazione per la miseria, che tocca gran parte della popolazione. Ma anche dal piacere di condividere la sete di vita di persone che, pur disponendo di così scarse risorse, cercano, con la dignità che, sotto tutte le latitudini, ogni lavoro ben fatto regala, di migliorare, seppur di poco, le loro condizioni. Senza perdere la capacità di vivere in modo più autentico, di “strappare la gioia ai giorni futuri”.

Ecco ciò che traspare osservando le foto di Antonella, Mauro, Morena e Nino. Guardando i diversi gruppi di amici che conversano (non sai se su una panchina di Coimbra, in un cortile di Tunisi o nel cuore di Ballarò). L’intensità dello sguardo di una delle due donne, impegnate in un profondo dialogo. Il sorriso dei lavoratori, in marcia sui loro improbabili mezzi di locomozione. La precisione chirurgica, nel peso delle loro merci, al mercato. L’espressione beata, mentre riposano in braccio a Morfeo. O, sfatti dalla fatica, sognano abbarbicati alle loro mercanzie, avvoltolati alle loro reti di pesca. O, impegnati allo spasimo, intrecciano i riccioli di un cliente, dalla capigliatura troppo folta. O, con una macchina da cucire d’altri tempi, rabberciano tessuti, ormai consunti dal tempo.

Sensazioni che si rinnovano, scrutando i sorrisi smaglianti dei due bimbi in motocicletta. E di quelli che un papà premuroso, porta in giro sul suo claudicante side car. E di altri ancora, che giocano immersi in una luce caravaggesca. Per chi, come me, insegna e sa quanta fatica si faccia, pur avvalendosi dei più avanzati supporti tecnologici, per conquistare l’attenzione dei “nativi digitali”, suscita stupore vedere un gruppo di ragazzini, seduti per terra e a piedi nudi, in una malridotta baracca elevata al rango d’aula scolastica, ma concentratissimi sulle immagini di un interessante documentario televisivo. Guidati da un maestro che, in canoa, per andare a fargli lezione,magari ha vogato nel fiume per tre giorni di seguito. Inquietudine, invece, mi procura lo sguardo dell’anziano venditore di ciambelle ebreo, mentre, perplesso, fissa Morena che, con raro tempismo, lo inquadra nel suo obiettivo. C’è chi ha sostenuto che lo scrittore è un delatore: io penso che il fotografo sia un raffinato rapinatore. Capace di rubare il tempo e di rendere l’attimo fuggente un’eternità. Preoccupato non di dimostrare, ma, semplicemente, di mostrare… Quanto, ad esempio, realtà agli antipodi rispetto alla nostra siano poi, nella sostanza, a noi tanto vicine. Perchè “Gli altri siamo noi”. Un pensiero che prende forma nella mostra ospitata, fino all’11 Aprile, nelle sale del Convento del Carmine. Un pensiero da mettere in pratica ogni qualvolta vi sia la necessità di accogliere i nostri fratelli che, dopo, rocamboleschi viaggi sulle “carrette del mare”, giungono qui da noi per sfuggire alla fame e alla guerra. Come fa ogni giorno, da un quarto di secolo ormai, Pietro Bartolo: il medico di Lampedusa . E, con lui, tutti i lampedusani. Come fanno a Marsala – da più di trent’anni – “Gli amici del Terzo Mondo”. Come dovremmo fare tutti noi, che apparteniamo ad una sola razza: la razza umana. E come, del resto, hanno fatto i fotografi di “Lunghezze d’Onda” . Convinti come sono che, se non bastano ottime pentole ad assicurare una cena eccellente, a nulla servono macchine ipertecnologiche per restituire foto straordinarie. Convinti come sono, con Henry Cartier-Bresson, che: “E’ un’illusione che le foto si facciano con una macchina…si fanno con gli occhi, con il cuore, con la testa”.

G. Nino Rosolia



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