Qualche giorno fa il vicedirettore di Repubblica, Gianluca Di Feo, cogliendo l'occasione dell'assoluzione dell'ex sindaco di Roma Ignazio Marino, ha scritto un editoriale sul corto circuito mediatico-giudiziario che spesso, negli ultimi anni, ha accompagnato alcune inchieste della magistratura.
L'articolo è stato molto discusso, anche perché nella stessa giornata, del rapporto fra stampa e magistratura, hanno discusso il vice presidente del Csm, Giovanni Legnini ed il ministro della Giustizia Orlando.
Una premessa è d'obbligo, tanto più per la circostanza che spesso mi ritrovo nelle aule giudiziarie a difendere giornalisti sotto processo per aver svolto il proprio dovere: nessuno può strumentalizzare le parole di Di Feo o di Legnini per invocare una sorta di moratoria sulla libertà di stampa, perché il tema, specie quello dei rispettivi ruoli della stampa e della magistratura e' troppo importante negli equilibri democratici di un paese, e però, detto ciò, alcune riflessioni devono comunque essere compiute.
Di Feo ha sostenuto che se la stampa ha il dovere di esercitare un'opera di controllo nei confronti del Potere quest'opera non può non riguardare anche, di volta in volta, l'azione della magistratura, specie quella inquirente.
Che significa tutto ciò? È' presto detto, almeno ad avviso di chi scrive: la stampa, specie quella che segue le vicende giudiziarie, non può limitarsi a sostenere, acriticamente, le inchieste della magistratura, facendo, dunque, da mero megafono all'opera dei pubblici ministeri.
E d'altronde, per comprendere il ruolo della stampa in un moderno paese liberale basta enucleare quelle che dovrebbero essere le sue vere funzioni e cioè, fra le altre: indagare il Potere in ogni suo ambito, non ultimo quello giudiziario; indagare le incongruenze che spesso un'inchiesta può rivelare; indagare essa stessa in direzioni diverse al fine di giungere alla verità'; sottoporre gli elementi che si hanno a disposizione ad un laborioso lavoro di verifica delle prove.
Sono proprio queste attività a sintetizzare, a mio avviso, la funzione stessa del giornalismo, per non parlar poi del giornalismo di inchiesta che dovrebbe perfino anticipare l'operato della magistratura e, caso mai, darvi la stura, come ahimè solo di rado accade (valga per tutte l'inchiesta di Lirio Abbate su Mafia Capitale).
Ed è indubitabile che, talvolta, la stampa non sia stata così puntuale in alcune inchieste che hanno riguardato personaggi pubblici (e non solo, in verità).
Mi rendo, naturalmente, conto, come detto, che l'argomento è difficile da maneggiare perché, strumentalizzandolo, si può giungere (ed in passato ciò è avvenuto) ad invocare il silenzio della stampa (talvolta un vero e proprio bavaglio) ovvero a denunciare una sorta di accanimento giudiziario delle Procure, ma lo sforzo deve essere comunque compiuto.
Se si guarda, infatti, ad alcune inchieste importanti che hanno caratterizzato la cronaca giudiziaria degli ultimi anni, sia con ripercussioni politiche (la vicenda delle spese-pazze nei consigli regionali; la vicenda degli scontrini e delle cene dell'ex sindaco di Roma Ignazio Marino o la vicenda del Presidente della Regione Emilia Romagna Vasco Errani) o imprenditoriali (la vicenda Silvio Scaglia) ovvero ancora semplicemente di cronaca (le maestre di Rignano Flaminio) non si può non notare come spesso la stampa nel suo complesso, e dunque fatti salvi, ovviamente, alcuni casi, si sia limitata a raccontare queste vicende con lo sguardo della pubblica accusa, evitando di sottoporre ad un vero vaglio critico le tesi dei vari pubblici ministeri.
Se ciò sia avvenuto, come temo, per cavalcare il clamore di alcune inchieste (magari cercando di solleticare ora una sempre più larga ventata di anti-politica ora l'interesse per la semplice notorietà di un personaggio) o a causa dell'equivoco di fondo secondo cui l'indagine della magistratura debba coincidere necessariamente con l'inchiesta della stampa, poco importa ma ciò ha condotto ad una alterazione del ruolo della stampa con nocumento, peraltro, della pubblica opinione.
Peraltro, e su questo punto bisogna esercitare la massima chiarezza, una stampa che indaga il Potere, qualunque potere, ivi compreso quello giudiziario nell'espletamento della sua funzione, non è una stampa con una funzione dimezzata ma, invece, è' una stampa ancora più autorevole e credibile nei confronti dell'opinione pubblica, una stampa con un ruolo ancor più forte, perfino maggiore di quello attribuito al Potere giudiziario.
In definitiva: se la stampa deve porsi come contro-canto del potere politico, nondimeno deve essere contro canto anche del potere giudiziario.
Peraltro, ciò che reputo più allarmante, in talune circostanze e' che una certa tendenza a schierarsi dalla parte della pubblica accusa reca con se la conseguenza che finanche un esito processuale diverso da quello auspicato (dalla stessa pubblica accusa) venga o minimizzato (e qui si dovrebbe aprire un dibattito sullo spazio riservato, ad esempio, alle assoluzioni) o talvolta motivato con una sorta di sfiducia nei confronti della stessa magistratura giudicante.
Dunque, in conclusione auspico che su questi temi si possa aprire un dibattito sereno, libero da pregiudizi e secondo fini (il bavaglio alla stampa e dunque il silenzio sulle inchieste più scottanti) e orientato unicamente nella direzione di una stampa effettivamente libera e soprattutto distante da ogni Potere.
Credo, sinceramente, che soltanto in questo senso si possa parlare di stampa come cane da guardia nei confronti del Potere.
Avv. Valerio Vartolo
Componente Sportello Legale Ossigeno per l'Informazione