Ai più giovani il nome di Michele Vinci non dirà nulla, a chi ha già qualche capello grigio, invece, ricorderà subito il “Mostro di Marsala”, il responsabile del triplice omicidio della nipote Antonella Valenti di 9 anni e delle sue cuginette Ninfa e Virginia Marchese, di sette e cinque anni. La scomparsa delle tre bambine avvenuta il 21 ottobre del 1971 fu uno dei fatti di cronaca nera che sconvolsero l’Italia intera.
La storia - Quel giorno le bambine uscirono di casa per accompagnare a scuola Liliana, la sorella di Antonella. Da allora non fecero più ritorno. Vito Impiccichè, il nonno di Antonella, non vedendola rientrare lanciò l’allarme e iniziò così una ricerca che coinvolse oltre agli uomini delle forze dell’ordine, anche tantissimi cittadini che per giorni passarono al setaccio tutto il territorio e le campagne marsalesi.
I testimoni - A qualche giorno della scomparsa c’è un primo testimone, un benzinaio di origine tedesca, Hans Hoffman, riferisce agli inquirenti di aver visto un uomo su una Fiat 500 blu con a bordo delle bambine che gesticolavano e sbattevano le mani nel finestrino dell’auto come per chiedere aiuto. Nel frattempo il caso venne affidato al giudice Cesare Terranova, già istruttore del processo ai corleonesi a Bari e in seguito, nel 1979, ucciso in un agguato mafioso a Palermo. Dopo qualche giorno si presenta davanti al giudice Terranova, Giuseppe Li Mandri, dicendo di essere lui l’automobilista della 500 blu, e che a bordo c’era il figlio che faceva i capricci perché non voleva andare a trovare un parente in ospedale. Questa è una prima stranezza sul caso: chiamata a testimoniare la moglie di Li Mandri ha detto che non c’era nessun parente in ospedale.
Antonella Valenti - Il 26 ottobre, per caso, nei pressi di una scuola abbandonata in c.da Rakalia, il signor Ignazio Passalacqua trova il corpo della piccola Antonella Valenti. La bambina ha subito violenza ma in seguito l’autopsia escluderà quella carnale. Accanto al corpo c’è del nastro adesivo prodotto dalla ditta San Giovanni di Marsala. I genitori di Antonella, Leonardo e Maria che si trovano in Germania per lavoro, rientrano subito a Marsala.
Le indagini - Il nastro adesivo trovato vicino al corpo conduce le indagini verso quella fabbrica, dove lavora Michele Vinci, lo zio di Antonella. Sono almeno tre gli indizi che portano i giudici a stringere il cerchio su di lui. Il primo: ha una Fiat 500 blu sulla quale c’erano state delle testimonianze; lavora dove viene prodotto il nastro utilizzato per soffocare la bambina; l’ultimo indizio arriva dalle dichiarazioni della moglie che ha detto agli inquirenti che il marito il giorno della sparizione delle bambine non era rientrato a casa per il pranzo come solitamente faceva.
L’arresto di Michele Vinci - Il giudice Terranova emette il mandato di arresto per Vinci. Lo interroga e messo alle strette confessa di aver rapito le bambine per appartarsi con una di loro, con la nipote Antonella, e di aver gettato Ninfa e Virginia in una cava profonda circa una ventina di metri che si trovava all’interno di un terreno di proprietà di Giuseppe Guarrato, dove effettivamente verranno ritrovate il 9 di novembre.
Il processo - Sulle dichiarazioni e la ricostruzione fatta da Vinci ci sono molti dubbi. Si profila concretamente la possibilità che abbia avuto uno o più complici. Viene indagato Guarrato, il proprietario dell’appezzamento di terreno dove sono state trovate le sorelle Marchese, ma non ci sono prove che confermino le ipotesi investigative e Guarrato viene prosciolto.
L’accusa nei confronti di Franco Nania - Michele Vinci prima si autoaccusa, poi ritratta le sue ammissioni, dicendo di non aver fatto nulla alle bambine e lancia l’accusa di essere il mandante del rapimento a Franco Nania, professore di elettrotecnica a Pantelleria e direttore della cartotecnica San Giovanni dove Vinci lavorava. Vinci racconta di essere stato minacciato dal professore se non avesse preso Antonella. Nania viene arrestato e rinviato a giudizio, accusato di concorso in sequestro e triplice omicidio. I magistrati non trovano nulla che possa confermare la pesante accusa mossa da Vinci e Nania viene prosciolto da ogni accusa.
Morti misteriose - Hanno suscitato parecchie perplessità le morti di alcuni dei personaggi entrati nella vicenda del “Mostro di Marsala” anche solo come testimoni. Il primo fu Giuseppe Li Mandri, l’uomo della 500 blu con il bambino a bordo. E’ morto misteriosamente cadendo da un tetto. Ignazio Guarrato, parente di Giuseppe, titolare del fondo dove sono state ritrovati i corpi di Ninfa e Virginia, aveva la sua abitazione in contrada Amabilina da dove poteva vedere il luogo dove sono state gettate. E’ morto precipitando in un pozzo in una zona che conosceva molto bene poco prima della sua testimonianza. Ed infine poco prima della condanna, Vinci rivela di aver scritto una lettera a padre Fedele, sacerdote della Chiesa addolorata di Marsala confessandogli tutto: il religioso muore a causa di un malore, la lettera viene cercata in casa del prete ma non viene trovata. Il corpo del religioso viene riesumato e l'autopsia conferma la morte naturale.
Nuova versione di Vinci e condanna prima all’ergastolo e poi a 29 anni
Con il nuovo processo, nel maggio del 1975, Vinci viene condannato all’ergastolo, restano dei dubbi perché con ogni probabilità l’uomo non ha agito da solo, forse ad aiutarlo è stata una donna, la stessa a cui appartiene una ciocca di capelli rimasta appiccicata al nastro adesivo che ha soffocato Antonella.
Quando, nel dicembre del 1976 si apre il processo d’Appello è spuntato anche un diario che Vinci ha scritto in carcere e che gli è stato sequestrato. Contiene una nuova versione: Antonella è stata rapita ed uccisa perché suo padre, Leonardo Valenti, ha fatto uno sgarro a Cosa nostra, rifiutandosi di partecipare al commando che avrebbe dovuto sequestrare il deputato democristiano Salvatore Grillo. Nel 1978 Michele Vinci viene riconosciuto unico colpevole del triplice omicidio e condannato a 29 anni di reclusione. Nel 1988 dal carcere dove è recluso Vinci accetta di farsi intervistare dal programma Telefono Giallo di Corrado Augias confermando questa ultima versione trovata sul diario. Dicendo di aver rapito le bambine ma di non averle uccise. Il giudice Paolo Borsellino, all’epoca a Marsala, riapre il caso, ma non essendoci prove a sostegno delle ultime rivelazioni di Vinci, viene chiuso definitivamente. Michele Vinci nel 2002 dopo aver scontato la sua pena è uscito dal carcere, adesso vive libero in provincia di Viterbo.
La verità processuale dice che è Michele Vinci il “Mostro di Marsala”, confermando una storia di degrado all’interno del nucleo familiare, nonostante le tante dichiarazioni e le successive ritrattazioni dello stesso Vinci mettano insieme mandanti e trame misteriose legate alla criminalità organizzata, come sfondo sulla fine di quelle tre giovani vite. Sulla verità storica, invece, i dubbi, tanti, a 45 anni di distanza dalla strage di Marsala, rimangono.