Alessandra Dino, esperta di criminalità organizzata, insegna Sociologia Giuridica e della Devianza all’Università di Palermo, ha scritto “A colloquio con Gaspare Spatuzza”. Un racconto di vita, una storia di stragi, pubblicato dal Mulino. Ha scritto diversi libri sulle dinamiche della mafia tra cui “Gli Ultimi Padrini” e la “Mafia devota”. Questa volta ha fatto un’operazione giornalistica, lei è andata a trovare l’uomo che ha più di tutti ha dato un contributo negli ultimi anni per la ricostruzione di episodi chiave della storia recente della mafia. Ma è chiaro che lei è andata ad incontrare Spatuzza da studiosa e sociologa. Perché questa scelta?
La storia di Gaspare Spatuzza non è la storia di un uomo qualunque. La sua vita ha incrociato degli episodi e delle vicende cruciali per la storia recente del nostro Paese. E’ un giovane della periferia palermitana che dall’età di dodici anni entra in contatto con Cosa Nostra, e che poi all’interno dell’organizzazione ricopre ruoli e mansioni differenti fino a diventare nel 1995 capomandamento di Brancaccio, dopo la cattura dei fratelli Graviano e quella di Antonino Mangano. Spatuzza ha un iter biografico particolarissimo, perché partecipa a tutti gli episodi stragisti che vanno da Capaci fino al fallito attentato dello Stadio Olimpico del gennaio del 1994. E’ presente nel rapimento del piccolo Di Matteo, è presente nell’omicidio di Don Pino Puglisi, e ha un contatto diretto con i vertici dell’organizzazione criminale, sia con i fratelli Graviano, soprattutto, ma anche una interlocuzione con Matteo Messina Denaro. Sono stata interessata alla sua figura, perché sono state dirompenti in qualche modo le conseguenze della sua collaborazione, che hanno messo in discussione l’esito di tre processi conclusisi in Cassazione, e quindi tredici anni di lavoro, praticamente buttati, una necessità di rivedere l'iter anche del lavoro dei magistrati, mettendo in luce tutta una serie di tentativi di depistaggio e di ruoli di figure istituzionali non del tutto chiari. Spatuzza mette in relazione e approfondisce il rapporto mafia politica, facendo dei nomi eccellenti. Fa il nome di Dell’Utri, fa il nome dello stesso Berlusconi e alla fine Spatuzza intraprende un processo di collaborazione con la giustizia ma anche un iter complesso di conversione, anche se mantiene integra la sua identità mantenendo il rapporto e l’amicizia con i fratelli Graviano. Mi è sembrato che la ricchezza delle vicende e del vissuto di Gaspare Spatuzza valessero la pena di essere approfondite anche perché è come se nel racconto e nella sua vita si specchiasse il racconto di un periodo della nostra storia recente ancora molto oscura e da decifrare.
Questo libro ha un approccio che non è sensazionalistico. Il suo approccio è quello della studiosa. Inoltre diventa oggetto di questa ricerca anche la sua relazione con Spatuzza.
L’intento del mio lavoro non era quello di andare a individuare la verità su chi fosse Gaspare Spatuzza né di cercare delle verità improbabili sul periodo delle stragi. Io ho cercato di ripercorrer un pezzo di storia importante del nostro Paese. L’intervista si è svolta in nove incontri nell’arco di un anno e si sono conclusi nell’ottobre del 2013. Da quella data fino a quando il libro ha visto la luce è stato necessario per me un’opera di distanziamento dal mio oggetto di ricerca, perchè da un punto di vista deontologico era importante non essere coinvolta nel tipo di relazione che necessariamente si istituisce con l’intervistato. Ho lavorato sulla scelta del metodo, scegliendo di fare un racconto di vita della storia di Spatuzza non alla ricerca di verità che fossero esterne al setting dell’intervista stessa, ma di verità e logiche che fossero interne alla relazione fra me e Spatuzza. Quindi non un'empatia e una volontà di aderire a tutto quello che lui diceva, tanto è vero che ci sono stati dei momenti dialettici nel nostro confronto, dovuti al fatto che mi ero data una regola, seguivo quella che viene chiamata la logica del ragionamento pratico, e avendo letto molto degli atti processuali ero in grado di confrontarmi con lui su quanto mi diceva. In fondo però il desiderio era quello di cogliere la sua verità, quella del suo racconto. Capire in qualche modo e come voleva raccontarsi e capire come fosse stato possibile per lui vivere quegli anni fatti di atrocità e violenza e continuare poi ad ipotizzare un proprio futuro fuori da Cosa Nostra. Il suo racconto mi ha consentito di capire quelle che sono, agli occhi di noi che siamo fuori, le contraddizioni che si vivono dentro Cosa Nostra e le logiche paradossali che però tengono unita la relazione fra chi vi appartiene.