Leggo con stupore della replica del signor Rao, rappresentante della Tekna, all'articolo sulla rimozione dei loro cartelli pubblicitari.
Intanto, non posso fare a meno di notare una certa acrimonia, con qualche caduta di stile di carattere politico, indirizzata alla sottoscritta, per cui non posso fare a meno di sorridere. Perchè poi, la città è piccola e tutti conosciamo tutti. Ancorchè - e solo per diritto di cronaca per chi legge - l'UDI è un movimento nazionale che esiste da oltre 70 anni e grazie al quale anche la madre, la moglie, la figlia (se ne ha) e le dipendenti del signor Rao, oggi 2016, hanno diritto di voto: quindi, la sedicenza è quantomeno inappropriata ed il dovere di informazione necessario. In realtà, il vero attacco spietato è stato fatto alla lingua e alla grammatica italiana, e già questo meriterebbe solo spallucce. Se non fosse che si sta parlando di un argomento serio: utilizzare il corpo delle donne in modo inappropriato - ed usare due seni per reclamizzare un impianto di sicurezza lo è, fatevene una ragione - significa perpetuare un paradigma per cui il corpo delle donne può essere utilizzato per qualsiasi scopo e a questo clichè le donne non possono ribellarsi. Infatti, quando una donna si ribella a ciò - io, nella fattispecie, e l'UDI per traslato - viene accusata di strumentalizzazione politica, di essere non credibile, di inattendibilità.
In termini di comunicazione pubblicitaria, significa anche che, per attirare l'attenzione sul proprio prodotto, si devono usare due "minne", perchè evidentemente i pubblicitari non sono in grado di inventarsi di meglio. O perchè così fan tutti e quindi il clichè di cui sopra. Devo restituire al mittente anche l'accusa di incompetenza: noi non ci occupiamo di affissione, caro signor Rao, ma di azione politica collettiva. Ecco perchè il nostro interlocutore è la Pubblica Amministrazione, che dovrebbe propria sponte recepire quello che è un dispositivo del Parlamento Europeo, e non l'Anas. Stessa cosa dovrebbe fare lo Iacp, il quale non ha facoltà di censura ma obbligo di vigilanza: e con cui non ho mai avuto il piacere di confrontarmi e ritenendo e scegliendo appunto altrove i miei interlocutori ed in soggetti istituzionalmente qualificati. I Comuni, appunto.
Sull'affermazione che "iscritti all'unione" avrebbero minacciato l'azienda, voglio sperare non si riferisse alle iscritte all'UDI, o se ne dovrà rispondere nelle sedi competenti per diffamazione.
Ritengo che la Tekna avrebbe dovuto cogliere uno spunto di crescita personale, aziendale e umana da questa vicenda - come molte altre aziende hanno fatto - invece di buttarla in caciara: sarebbe bastato anche un decoroso silenzio. Perchè vede, carissimo signor Rao, non è che lei con la sua pubblicità salva le donne dalla fame e dalla povertà: le donne devono avere la libertà di scegliere, di posare nude o vestite, non è la loro libertà ad essere messa in discussione. Si mette in discussione lo sfruttamento che i pubblicitari, e l'azienda, hanno fatto del corpo della donna. Per usare un esempio iperbolico: la legge non condanna una prostituta di cosa decide di fare del suo corpo, ma condanna chi lo sfrutta. Noi non siamo bigotte, signor Rao, la sua è una facile e stucchevole stigmatizzazione: a noi i corpi nudi piacciono se liberati, quando hanno qualcosa da dire,un messaggio da veicolare; anche quando sono sfrontati. Non se messi in mostra per venderci qualcosa. Ci piacciono quando sono rivoluzionari, come le Pussy Riot. Invece, voi avete sfruttato un classico contratto patriarcale, che punta a manipolare il sistema per trarne il massimo vantaggio, ma senza sovvertirne le regole. Siamo nel 2016, e invece di parlare seriamente di disoccupazione, di imprenditoria anche femminile, di pari opportunità, di regolamentazione salariale e dei contratti di lavoro delle donne, del loro accesso alla maternità - argomenti che dovrebbero stare a cuore ad un'azienda e alla sua amministrazione - parliamo ancora di una donna che se si ribella è "strumentalizzatrice, inattendibile e bigotta", di culi e di tette.
Valetina Colli