Le mani dei bimbi. Quelle che ti prendono un dito perchè vogliono farti vedere qualcosa a loro curiosa. Le mani che si avvinghiano alle tue braccia per un gesto di affetto. Quelle mani, piccole, che manifestano la rabbia più bella del mondo, per un capriccio, per un gioco, per un dispetto, e uno schiaffo, con le mani, piccole, dei bimbi, che è una carezza. Le mani dei bimbi e le nostre, quelle dei grandi. Quelle grandi, forti, che devono dar loro protezione, che devono indicare la strada. Le nostre mani, che sostengono loro. Le mani grandi, che scavano, tra le macerie, per cercare quelle piccole. Mani che tolgono pietre, che tolgono calcinacci, ascoltando, in silenzio, un respiro, un lamento, un pianto, una voce. Le mani che stanno scavando nel centro Italia sono tante in queste ore. E hanno trovato sotto le città andate distrutte molti bimbi. E' il terremoto dei bimbi quello del centro Italia, è la strage degli innocenti, andati dai nonni, andati in vacanza, abbracciati, con le piccole mani, a mamma e papà.
Noi siamo qui. Siamo distanti. Siamo lontani, geograficamente. E ci struggiamo per le notizie che ci arrivano da più su. Le immagini del terremoto in Centro Italia parlano di una devastazione inimmaginabile. Interi paesi rasi al suolo. Le storie, le vite di intere comunità andate sbriciolate. Le storie di quei vicoli dei paesi sono coperte da montagne di macerie. Una apocalisse. Vie strette e tortuose diventate montagne di pietre da togliere, spostare in fretta, senza mezzi, tutto, con le mani. Si può passare solo così, pietra dopo pietra, per cercare quelle mani più piccole. Sono le mani della gente del posto, dei volontari, dei vigili del fuoco e della protezione civile che in questi giorni, drammatici, stanno scavando nel terrore.
E una volta finito si va con le ruspe, che non c'è più vita sotto. Si va con i mezzi. Tra qualche giorno si parlerà di ricostruzione, si parla della grande macchina dello Stato che si dovrà mettere in moto per ridare speranza e normalità. Ma è una routine. Gli italiani in questi momenti danno il meglio, siamo un popolo generoso, siamo forti e bisogna ricominciare. Sono le parole che abbiamo ascoltato parecchie volte in questi anni, a L'Aquila, in Emilia, in Irpinia, in Umbria. Si parlerà di ricostruzione, e si dirà che non bisogna fare gli errori del passato. Perchè l'Abruzzo è vicino. Perchè le porcate fatte con le new town di Berlusconi non devono esserci più. Perchè i paesi devono essere recuperati, e non traslocati come la nostra Gibellina. Si dirà tutto questo. Poi il silenzio. Fino al prossimo terremoto, fino alla prossima catastrofe di un paese fragile, come i bimbi, come le loro mani. Un paese a cui non è stata data protezione. Sono le ore in cui sono partite le prime inchieste per edifici ristrutturati da qualche anno e crollati come castelli di carte. Come quel campanile, crollato su una casa. Lì ci dormiva una famiglia, spazzata via nella notte. I due bimbi erano abbracciati con le loro piccole mani ai genitori. Come quella scuola, dove i bambini non potranno più andare, e che è stata inaugurata in pompa magna, come al solito nel nostro Paese, sbandierando che era fatta con criteri antisimici. Saranno i giorni in cui si cercheranno le responsabilità, in cui si tenterà di confortare la gente per convincere che non si ripeteranno gli errori del passato. Noi siamo qui, siamo in Sicilia, siamo a due passi dal Belice, che dopo quasi 50 anni aspetta ancora di completare la ricostruzione. Le mani dei nostri padri hanno scavato, altre mani hanno insabbiato, preso, tolto a noi, nascosto, rubato. Noi siamo qui, in un territorio che è altamente sismico. Il Messinese, la val di Noto, la Sicilia occidentale, e le altre faglie attive. Un'isola fragile, che se scoppia qui il terremoto non c'è scampo per nessuno. Trema il centro Italia, ma tremiamo anche noi. Un passato che ci terrorizza, un futuro incerto. Con piani di prevenzione che non sono mai stati attuati. Con norme antisismiche mai rispettate, se non in rari casi, per le nostre scuole, per i nostri palazzi, per le nostre case. Le case, le mani dei bimbi, le nostre.
Francesco Appari