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06/08/2016 06:40:00

La "damnatio memoriae" per Pino Maniaci

Quanti sono i 100 eroi mondiali dell’informazione? Sembra una domanda simile a quella sul colore del cavallo bianco di Napoleone, ma è meno scontata di quanto appaia. Perché i “100 Information heroes” selezionati da Reporters sans frontières, la nota ong che si occupa di libertà di stampa, in realtà sono 99. Ne manca uno, tra l’altro uno dei due italiani originariamente presenti nella lista, il giornalista siciliano Pino Maniaci (l’altro è Lirio Abbate, che invece mantiene lo status di eroe). Maniaci era entrato nel club dei 100 giornalisti che nel mondo si sono distinti per aver svolto il loro lavoro in contesti pericolosi e per aver affermato il principio della libertà di stampa anche a rischio della propria incolumità. Reporter senza frontiere (Rsf) descriveva Giuseppe ‘Pino’ Maniaci come il coraggioso direttore di “una piccola stazione televisiva antimafia”, Telejato, che si occupa di “omicidi e racket, che sono una parte della vita quotidiana in Sicilia”. “E’ stato citato in giudizio centinaia di volte e ripetutamente minacciato e una volta è stato picchiato dal figlio di un boss mafioso”. Ora però sul sito di Rsf la foto di Maniaci non c’è più, al suo posto c’è uno spazio vuoto, la sua scheda è stata eliminata: i 100 eroi sono diventati 99 e la ong che si batte per la libertà di stampa non spiega da nessuna parte perché. Cos’è successo? A maggio su tutti i giornali è scoppiato il “caso Maniaci”: il giornalista impegnato da anni nella lotta alla mafia e all’illegalità è indagato dalla procura di Palermo con l’accusa di estorsione, avrebbe ricevuto da alcuni sindaci poche centinaia di euro e favori in cambio della fine delle critiche dalla sua emittente sugli amministratori. Un ricatto, silenzio in cambio di soldi. Pochi spiccioli, ma comunque un comportamento deprecabile. Dalle intercettazioni sono BORDIN LINE di Massimo Bordin emersi altri aspetti poco piacevoli, come ad esempio la possibilità che alcune intimidazioni che avrebbe subìto – e per cui aveva ricevuto la solidarietà anche del premier Matteo Renzi – in realtà non sarebbero minacce mafiose ma vendette personali del marito della sua amante. Maniaci ne era consapevole, ma ha cavalcato l’ipotesi dell’intimidazione per aumentare il proprio prestigio di giornalista antimafia. In ogni caso questi aspetti più personali, per quanto censurabili, non vengono contestati dalla procura e rispetto alle accuse di estorsione il giornalista si difende dicendo che il passaggio di denaro si riferisce all’acquisto di spazi pubblicitari. L’indagine va avanti e, come si suol dire, la giustizia farà il suo corso. 

Rsf invece ha già emesso una sentenza di condanna, senza però pubblicare la sentenza. Perché Maniaci è stato rimosso dal sito? Ne è stato informato? Rsf ha pubblicato un comunicato ufficiale sulla vicenda? Ci è capitato di apprendere che l’onestà di Giuseppe Maniaci è stata seriamente messa in discussione e che lo scorso maggio è stato incriminato”, ha risposto alla richiesta di spiegazioni del Foglio il chief editor di Rsf Gilles Wullus. “Fino a quando l’indagine non sarà finita, abbiamo scelto di ritirarlo dalla nostra lista di ‘Eroi dell’informazione’”. La scelta sarebbe anche legittima, ma restano aperte alcune questioni gravi sul modo di operare della ong che stila classifiche sulla libertà d’informazione del mondo. La prima è un dettaglio, che però indica il livello di approfondimento che Rsf ha dedicato alla vicenda: Maniaci non è “incriminato”, ha solo ricevuto un avviso di garanzia e i pm non hanno ancora chiesto il rinvio a giudizio. L’altra è la totale assenza di trasparenza: mai Rsf ha comunicato che la posizione di Maniaci è sospesa e per quali motivi, né ha chiesto spiegazioni al giornalista, sia per avere gli elementi per una valutazione giusta sia per garantire il diritto di difesa. Rsf ha semplicemente sbianchettato Maniaci, come si faceva in Unione sovietica con le foto dei compagni caduti in disgrazia dopo le purghe, come fanno ancora oggi tutti quei regimi autoritari e totalitari nemici della libertà di stampa. Al posto della sospensione e di un giudizio pubblico e trasparente, Rsf ha scelto la damnatio memoriae, la cancellazione di ogni traccia del sospetto, come se Maniaci non fosse mai stato uno dei 100 “Eroi dell’informazione”. Che Rsf e i suoi premi non sono una cosa seria l’aveva intuito lo stesso Maniaci che, mentre in pubblico era impettito per il premio simbolo del giornalismo impegnato, in un’intercettazione diceva: “M’hanno invitato dall’altra parte del mondo per andare a prendere il premio internazionale del cazzo di eroe dei nostri tempi”. Non più dell’informazione, ma eroe della sincerità.

Luciano Capone, Il Foglio del 30 Luglio 2016