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09/07/2016 06:30:00

Mafia, battute finali del processo d'appello a D’Alì. Chiesta condanna a 7 anni e 4 mesi

Sette anni e quattro mesi di reclusione è la condanna che è stata chiesta per il senatore di Forza Italia Antonio D’Alì, dal procuratore generale Domenico Gozzo, al processo in Corte d'Appello a Palermo che vede imputato il parlamentare trapanese di concorso esterno in associazione mafiosa. Per l’ex sottosegretario agli interni del Governo Berlusconi, la richiesta di condanna è la stessa formulata nel processo di primo grado che si è svolto con il rito abbreviato e che terminò il 30 settembre del 2013 con la prescrizione per i reati contestati fino al 1994 e l'assoluzione per quelli contestati nel periodo successivo. Iniziato ufficialmente a marzo del 2015, il processo d'appello ha subito continui rinvii. Tra i motivi che hanno portato all'apertura del nuovo grado di giudizio, i pubblici ministeri hanno messo in evidenza quello che a loro avviso è stato un grave errore del giudice, ossia quello di frammentare le ipotesi di accusa. Per i pm sia dalle dichiarazioni del collaborante Nino Birrittella, che faceva parte della cupola trapanese di Cosa nostra, sia dal contenuto delle intercettazioni nonché dall’esito di indagini, si coglieva quello che il giudice ha detto di non aver visto, e cioè il fatto che determinate certezze nutrite dal capo mafia Francesco Pace, come quella sul trasferimento da Trapani del prefetto Fulvio Sodano, derivavano dalla certezza che Cosa Nostra coltivava per via dei rapporti diretti con il senatore D’Alì. I giudici in questo secondo processo hanno cercato nuove prove e prodotto un memoriale di 4000 pagine.

Tra le novità un giro di mazzette che ci sarebbe stato a Trapani attorno all’appalto per la video sorveglianza. Soldi che sarebbero stati elargiti e garantiti a favore di stretti collaboratori del parlamentare trapanese quando era, tra il 2001 e il 2005, sottosegretario all’Interno, con il coinvolgimento di diversi imprenditori ed esponenti della burocrazia trapanese e romana, e anche il gruppo Finmeccanica con i suoi manager Gualdaroni e Subbioni. Gli episodi si riferiscono al 2005. Su questo punto D’Alì è intervenuto personalmente con una propria nota. «Non mi risulta di essere mai stato interessato da indagini relative ad un remoto episodio del 2006 in ordine a presunte mazzette su una fornitura di un servizio di videosorveglianza fra il Comune di Trapani e Finmeccanica che, per quanto di mia conoscenza, non è mai stata espletata. Né tantomeno mi risulta – ha continuato - che siano mai stati celebrati processi a carico di chicchessia, relativamente allo stesso argomento».

Altro capitolo importante su cui si è basata le tesi dall'accusa del procuratore generale Gozzo è quello legato alla presunta influenza che D'Alì avrebbe avuto nel trasferimento dell’ex capo della squadra mobile, Giuseppe Linares da Trapani a Napoli, dove adesso dirige la Dia. E' in questo contesto che si inserisce una conversazione intercorsa tra Valerio Valenti, adesso prefetto di Brescia, e all'epoca capo di gabinetto di D’Alì, ed il poliziotto Emiliano Carena. I due riflettevano sul ruolo di De Gennaro in un possibile trasferimento di Linares e per questa intercettazione ambientale il pg ha chiesto la trascrizione. Tra le accuse mosse a D’Alì e riproposte in questo secondo processo, c’è quella secondo cui il parlamentare trapanese avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella gestione degli appalti per importanti opere pubbliche, dal porto di Castellammare del Golfo agli interventi per l’America’s cup a Trapani, ma anche la compravendita privata del terreno di contrada Zangara tra D'Alì e Francesco Geraci, uomo di fiducia di Matteo Messina Denaro e Totò Riina. Uno dei punti significativi per la procura generale è proprio legato all’altra vicenda del trasferimento del prefetto Fulvio Sodano, trasferito da Trapani mentre tentava di opporsi al tentativo di Cosa Nostra di riappropriarsi della Calcestruzzi ericina, l’azienda sequestrata al boss Vincenzo Virga.

I legali del senatore forzista, Stefano Pellegrino e Gino Bosco però, hanno basato la difesa sul fatto che le accuse si incentrano su fatti accaduti prima del processo di primo grado e non sono certo fatti nuovi. "La linea della pubblica accusa ha ripercorso sinteticamente fatti ampiamente approfonditi già in primo grado per i quali è stata dimostrata l’estraneità del Senatore, - le parole dei due difensori di D'Alì - con alcuni richiami che non trovano riscontro nei capi d'imputazione e nei fatti processuali. Alla luce di tutto ciò possiamo che chiedere, più che convinti, la conferma dell'assoluzione già ottenuta in primo grado, concludono i due legali”. Al termine dell’intervento del pg Gozzo hanno concluso anche le parti civili costituite, Libera e il Centro Studi Pio La Torre. La prossima udienza, fissata per il 20 luglio, toccherà ai difensori di D’Alì. La requisitoria finale è, invece, in programma per il 23 settembre, quando potrebbe arrivare anche la sentenza.

 



EA2G | 2024-12-23 14:54:00
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