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28/04/2016 02:00:00

Scrive Alberto La Via sul "Rito annuale del revisionismo contro la Resistenza"

La riflessione di Agate sulla retorica delle commemorazioni del 25 Aprile si inserisce pienamente nello stantìo rituale praticato, da alcuni anni a questa parte, dai detrattori dell'antifascismo.
Da Pansa in poi, in molti si sono sentiti liberi di riscrivere la storia nel vano tentativo di prendersi delle rivincite, di riabilitare i carnefici, di spacciare per "operazioni-verità" le invettive rancorose nei confronti della lotta antifascista e dei suoi esiti.
Entriamo nel merito.
È sicuramente vero che i gruppi partigiani si organizzarono militarmente solo dopo la caduta del regime fascista, cogliendo un'evidente opportunità anche sul piano meramente logistico. Ma questo dato non può servire a minimizzare il coraggio di chi scelse di prendere le armi contro la dittatura e contro la feroce occupazione tedesca, dando corpo a una Resistenza che era già cominciata anni prima, tra molte difficoltà, nelle dolorose esperienze dell'esilio o del confino.
Eppure, Agate volutamente minimizza le "azioni guerresche" dei partigiani sostenendo che "incisero poco sull'andamento della guerra, che fu vinta contro i nazifascisti dall'esercito alleato che risaliva dalla Sicilia". Si tratta di una ricostruzione semplicistica, oltre che tendenziosa. Come dimenticare, infatti, le Quattro giornate di Napoli, allorché il capoluogo partenopeo insorse contro i tedeschi ben prima dell'arrivo degli americani? E come trascurare, ancora, le numerose repubbliche partigiane disseminate in tutta l'Italia settentrionale già dal 1944? E che dire della rivolta delle donne di Carrara che impedirono lo sfollamento della città ordinato dal comando tedesco? E poi, basti pensare che nel 1945, al loro arrivo in alcune città, gli Alleati le trovarono già liberate.

Un altro cavallo di battaglia del revisionismo antiresistenziale è quello della denuncia delle azioni cruente, da parte dei partigiani, contro i civili e i militari fascisti e nazisti, che "alimentarono la guerra civile tra gli italiani".
È fin troppo evidente che un contesto disumano come la guerra può facilmente condurre ad azioni efferate. Ed è altrettanto plausibile che, nell'apologia resistenziale, molti di questi episodi siano stati volutamente trascurati. Tutto questo, però, non può far dimenticare le evidenti responsabilità storiche e materiali del Fascismo, del suo duce e dei suoi sgherri, che trascinarono l'Italia nella guerra dopo aver assunto e mantenuto il potere per vent'anni attraverso metodi violenti e assassinii politici, distruggendo le libertà civili, promulgando leggi abiette, stringendo una salda alleanza con uno stato criminale e razzista come il Terzo Reich.
Francamente, gli annuali piagnistei con cui si addita la "guerra civile" nella quale si confondono volutamente le vittime con i carnefici, gli oppressi con gli oppressori, le cause con gli effetti, sono diventati davvero insopportabili.

È senz'altro vero che il Partito comunista italiano assunse un ruolo egemonico nella Resistenza e, soprattutto, nella sua narrazione post-bellica.
Tutta da dimostrare, invece, la volontà del PCI di fare dell'Italia un paese socialista del Patto di Varsavia. Non è andata così e si può tirare un sospiro di sollievo. Ma se avessero vinto i nazisti e i fascisti, allora democrazia e libertà ce le saremmo scordate forse per sempre.
In realtà, dalla svolta di Salerno in poi, furono subito chiari gli orientamenti compromissori del PCI, un partito d'ordine saldamente interessato - da lì agli anni a venire - al mantenimento dello status quo.
Quello che va detto, invece, una volta per tutte, è che se i fascisti e i loro epigoni hanno continuato - dal 1945 a oggi - ad avere agibilità politica in questo paese, devono proprio ringraziare quello stalinista di Togliatti, che - per tipico opportunismo politico - da ministro della giustizia concesse l'amnistia a un bel po' di gerarchi e collaborazionisti che ebbero così la possibilità di riciclarsi nella neonata Repubblica.
L'Italia, insomma, non è mai stata de-fascistizzata come si sarebbe potuto e dovuto fare.
Pertanto, sarebbe opportuno che certuni, anziché riscrivere la storia a loro uso e consumo, riflettessero su quanto essa sia stata con loro fin troppo benevola.

Alberto La Via 



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