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14/04/2016 06:30:00

Trapani, corsa all'affare migranti. Sotto inchiesta i padroni dei centri

Repubblica si occupa dell'affare dell'accoglienza dei migranti in provincia di Trapani, riprendento anche le inchieste di tp24.it in questi mesi. Attilio Bolzoni traccia un quadro del sistema dell'accoglienza basato sull'emergenza e che frutta un mucchio soldi. Un business su cui in molti hanno messo le mani, e che presenta molte zone buie su cui però sta cominciando ad accendere la luce la Procura di Trapani. Da don Sergio Librizzi a Norino Fratello, da Scozzari alle cooperative di Salemi vicine all'ex deputato Pino Giammarinaro. Ex politici e imprenditori, indagati o condannati. Chi sono i personaggi che hanno in mano il business dell'accoglienza in provincia di Trapani?

Ecco l'inchiesta di Attilio Bolzoni uscita il 12 aprile scorso su La Repubblica.

 

TRAPANI - Per colpa di un prete una lontana città di frontiera si è scoperta capitale italiana dell’accoglienza. Di don Sergio parleremo dopo, intanto diciamo subito che grazie ai migranti qualcuno sta diventandosempre più ricco. In questo momento a Trapani non c’è affare che renda meglio.
Li aspettano dopo ogni naufragio, li cercano uno per uno, fanno carte false per trascinarli nelle loro case. Fra Marsala e Petrosino, Erice, Salemi, Mazara del Vallo e Alcamo è resuscitato persino il mercato immobiliare. C’è razzìa di vecchi fabbricati, soprattutto nelle campagne. Li comprano in contanti per trasformarli in residence, in bed and breakfast, in villette plurifamiliari o in un qualunque altro tipo di locale sotto il cui tetto possa trovare ricovero l’ultimo carico venuto dal mare. È il grande commercio nella provincia siciliana più prossima all’Africa, con Capo Bon lì davanti a poche ore di navigazione. Ci si sono tuffati dentro in tanti, anche quelli che dieci e quindici anni fa trafficavano con gli appalti della sanità o con le energie alternative e con i rifiuti. Per l’emergenza hanno riconvertito le loro attività pure i ras di centri per anziani o per disabili, con i migranti il profitto è garantito. Basta avere le entrature giuste, in prefettura e in qualche comune.
Erano in tremila l’estate scorsa, tremila al giorno per 32-35 euro al giorno. Sono poco più di duemila dall’inizio di gennaio, diventeranno ancora tremila e probabilmente molti di più quando tornerà il bel tempo.
E poi ci sono i minori, fra i quattrocento e i cinquecento. Per loro, al giorno di euro se ne pagano 80. Un giro da 50 milioni l’anno e una trentina di “case di accoglienza” che sono scivolate quasi tutte in un’inchiesta giudiziaria che sta scoperchiando uno scandalo dalle profondità ancora sconosciute. I fili li muovono potenti ex assessori della Regione, onorevoli della zona già condannati per reati di mafia, professionisti di holding e mega consorzi specializzati nell’ospitalità per grandi masse.
Resta solo da capire ormai se siano stati certi trapanesi a copiare dal Salvatore Buzzi di Mafia Capitale che diceva «con gli immigrati si fanno molti più soldi della droga», o se invece sia andata al contrario con la Sicilia ancora una volta laboratorio, anticipatrice di tendenze criminali. «Di sicuro questo è un modello molto simile a quello di Roma», spiega il procuratore capo di Trapani Marcello Viola. Le vergogne sono affiorate con Sergio Librizzi, direttore della Caritas locale fino a quando è stato arrestato — e poi condannato a 9 anni di reclusione — per una vicenda di violenze sessuali. Don Sergio chiedeva prestazioni a giovani migranti in cambio di documenti per l’ottenimento dell’asilo politico, ma intanto era socio occulto di una cooperativa che controllava — così scrivono i magistrati — «in via diretta o indiretta, tutti i centri di accoglienza presenti nella provincia di Trapani... mediante una rete clientelare di cui fanno parte anche membri delle forze dell’ordine, del mondo del volontariato, della diocesi trapanese e dell’apparato amministrativo locale». Era una potenza Don Sergio. Riceveva pure soffiate sulle visite ispettive, sapeva tutto in anticipo. Dal ricatto sessuale al grande business. Le indagini hanno svelato una trama fra il sacerdote e il suo vescovo Francesco Micciché, un patto per allungare le mani sul popolo degli sbarchi. Carabinieri e polizia hanno ricostruito una mappa con tutti i personaggi del racket, cooperative e opere pie e istituti di assistenza e beneficenza fanno sostanzialmente riferimento a tre “cartelli”. Dietro il primo gruppo c’è Giuseppe Giammarinaro, un ex deputato regionale dc che comandava a Salemi quando nel 2011 sindaco era Vittorio Sgarbi e il Comune è stato sciolto per mafia. Nella cerchia di Giammarinaro — che è in attesa di una sentenza del Tribunale per una misura personale e patrimoniale di prevenzione a suo carico — ci sono prestanome di uomini politici locali che in passato hanno intrallazzato nell’edilizia, nelle discariche, nell’eolico e nel fotovoltaico. Tutti si sono riciclati nel nuovo mercato. Il secondo gruppo è capitanato dall’ex deputato regionale Onofrio Norino Fratello, uno che qualche anno fa ha patteggiato una condanna a 18 mesi per concorso esterno. È rimasta famosa la sua battuta
davanti al giudice: «Se patteggio, posso ricandidarmi?». Originario di Alcamo, Norino Fratello ha abbandonato disabili e anziani per puntare tutto sui migranti. Il terzo gruppo è quello di Giuseppe Scozzari, alla testa di un colosso per la gestione dei centri di accoglienza. In provincia di Trapani ha come braccio operativo le cooperative “Insieme”, ma i suoi interessi sono estesi anche lontano dalla Sicilia. A Gorizia è sotto processo per associazione a delinquere finalizzata alla truffa per la guida finanziaria delle sue strutture, quelle che gestivano il centro di permanenza temporanea e il centro di accoglienza richiedenti asilo in Friuli. Sono loro che dettano legge nella Trapani dei migranti. 
Ma come è potuto accadere tutto questo? «Con l’emergenza sbarchi ho avuto paura di essere travolto dai numeri e ho ritenuto che la scelta più giusta fosse quella di disseminarli in piccole realtà e non in un unico centro», risponde il prefetto di Trapani Leopoldo Falco. Una decisione coraggiosa e anche di buon senso. Accoglienza diffusa al posto di strutture-prigioni, con affidamenti diretti alle cooperative — ma adesso il ministero gli ha imposto bandi pubblici — dietro informative di polizia che però non si sono sempre rivelate molto attendibili.
Poi è emersa l’altra faccia dell’ospitalità trapanese. «E io ora mi sento come uno che cammina bendato su un campo minato», dice ancora il prefetto. Lui va e viene dalla procura per portare documentazione: «Non mi dichiaro sconfitto, se poi riteniamo che Trapani sia un territorio a rischio, i migranti allora mandiamoli in Lombardia... ma la Lombardia non li vuole».
Dati quasi ufficiali raccontano che questo “giro” abbia portato in provincia 500 nuovi posti di lavoro. Si capisce perché nessuno vuole restarne fuori. Un centro di accoglienza ce l’ha anche “Sicilia Bedda”, un gruppo folcloristico di Salemi. Tarantelle e profughi.

"IO PRESTANOME DELL'ONOREVOLE"

Uno dei testimoni-chiave dell’inchiesta sul racket dei migranti. Si chiama Lorenzo La Rocca, ha 55 anni, abita ad Alcamo.
Si presenta: «Sono stato amministratore unico della cooperativa Letizia fin dal 2007, ma ero un prestanome dell’onorevole Norino Fratello».
E che ruolo aveva?
«Ero una specie di tuttofare, il vero padrone era l’onorevole».
Quanti centri controllava l’onorevole Fratello?
«Due. Prima ospitavano anziani e disabili, poi sono entrati i migranti. Ogni tanto l’onorevole veniva in cooperativa e mi ripeteva: “Devi dire a tutti che la cooperativa è tua e che io sono solo un consulente”. Però le carte di credito le aveva lui e anche suo fratello. Ed era sempre lui a disporre dei conti. Un giorno mi sono accorto che c’è stato un prelevamento di 90mila euro in sole 48 ore. Con i soldi della cooperativa pagava anche assicurazioni di auto e affitti di appartamenti».
Come venivano trattati i migranti?
«L’onorevole non faceva altro che dirmi: “Dobbiamo frenare, frenare”... Voleva dire: risparmiare. C’erano giorni che invece di pranzo e cena ero costretto a servire solo un pasto, i 100 grammi di pollo diventavano 50 grammi. E poi l’acqua di bidone veniva travasata in bottigliette di minerale».