Continua la guerra tra l'ex assessore regionale ai rifiuti, il magistrato Nicolò Marino, e Confindustria Sicilia. Intervistato dal quotidiano La Sicilia, Marino è andato ancora una volta giù durissimo con Montante e soci, riprendendo le polemiche sulla gestione dei rifiuti in Sicilia e l'influenza di Confindustria nella politica isolana: «Quando segnalai lo strapotere di Confindustria nella gestione dell’amministrazione regionale in diversi settori con particolare riferimento a quello dei rifiuti, perché la vicenda Catanzaro docet, non era uscita la notizia che Montante fosse indagato» racconta Marino. Ecco uno stralcio dell'intervista a Mario Barresi (qui il link):
«Quando segnalai lo strapotere di Confindustria nella gestione dell’amministrazione regionale in diversi settori con particolare riferimento a quello dei rifiuti, perché la vicenda Catanzaro docet, non era uscita la notizia che Montante fosse indagato».
E lei è tornato a fare il magistrato. Dopo la rottura con Crocetta.
«Proprio il grande conflitto che si originò dalla mia posizione ferma rispetto a Crocetta fece sì che io dovetti andarmene. Io avevo due possibilità: adeguarmi al sistema di Confindustria, perdendo coerenza e dignità, e restare in piedi. Oppure andare via, con le conseguenze per me e per la mia famiglia: lasciare la Sicilia, accettare un incarico altrove. Ebbene, io scelsi la dignità e la coerenza».
Ha pagato un prezzo per quella scelta?
«Potevo andare a ricoprire determinati incarichi fuori ruolo che mi avrebbero consentito di restare vicino alla linea politica che avevo scelto. Ma, forse sarà una coincidenza, ho trovato ostacoli dappertutto».
Oggi, invece, l’elenco degli accusatori di quel sistema s’è allungato.
«Sì, in ultimo c’è stata l’interrogazione parlamentare dei grillini. E prima ancora il “pentimento” di Marco Venturi, preceduto dalla posizione di Massimo Romano. Quando, molto prima, fui io a denunciare, da uomo delle Istituzioni, mi sarei aspettato che le istituzioni stesse cominciassero a prendere le distanze da chi aveva gestito come centro di potere questo gruppo di Confindustria. Invece non fu così. E io ebbi lo scontro con Crocetta, uscendo dalla governo regionale».
Ma le istituzioni non sono soltanto Crocetta.
«L’elenco è lungo. C’è un passaggio della relazione del presidente della Corte d’Appello di Caltanissetta, Salvatore Cardinale, che Montante lesse a modo suo, in cui si diceva che erano preventivati attacchi a Confindustria. I magistrati del territorio ben conoscevano la posizione di Montante, come dimostra la successiva notizia sulle indagini per mafia, che nascono prima. E che comunque, questo ci tengo a dirlo, sono andate avanti».
Quelle indagini nascono quando era pm a Caltanissetta. E dunque anche lei sapeva.
«Le dichiarazioni di Carmelo Barbieri (uno dei pentiti che accusa Montante, ndr) le raccolsi io, da pm a Caltanissetta, assieme a Sergio Lari nel 2009 e 2010. Io non feci nemmeno domande a Barbieri. Le fece Lari. La posizione di Montante era già ampiamente conosciuta».
Ed è a questo che alludeva quando nell’intervista ci disse «io e Lari eravamo assieme a Caltanissetta ed entrambi sappiamo chi è Montante»?
«Sì. Tutta Caltanissetta sa chi è Montante. C’è una parte che lo teme e un’altra che lo rifugge. Le istituzioni di Caltanissetta, tutte, ben sapevano chi fosse. Io sul “Fatto” criticai Lari che additava Montante come simbolo della legalità. Nessuno ne prese le distanze, ma addirittura arrivarono ulteriori tributi a questo sistema di potere, persino conclamato a simbolo della legalità nei discorsi di inaugurazione dell’anno giudiziario».
Si riferisce all’ex pg di Caltanissetta, Roberto Scarpinato?
«Non vorrei parlarne. Dico solo che l’avrei fatto più accorto in questa vicenda. Come poteva non sapere delle accuse dei pentiti a Montante? Poi c’è un altro fatto gravissimo che grida vendetta... ».
Quale?
«Il comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza. Il primo si fece per le stragi. Il secondo, alla presenza del ministro Alfano e di altissime autorità, si fa a Caltanissetta. Per celebrare le lodi di una persona che alcuni magistrati dovevano sapere che era indagato o iscritto sul registro delle notizie di reato. Fino alla goccia che fece traboccare il vaso».
Ovvero? A cosa si riferisce?
«Alfano fa un’altra operazione che doveva portare all’assoluto predominio di questa Confindustria: nomina Montante nel Cda dell’Agenzia dei beni confiscati alla mafia. È l’operazione, gravissima, che avrebbe completato il disequilibrio di Confindustria nella struttura più ricca al mondo per il valore dei beni. Ricchezza e potere di orientare le sorti della politica... ».
È l’inizio della fine, per Montante.
«Il sistema Montante, per ironia della sorte, non lo incrinano le istituzioni. Si mette in discussione da solo. Per l’eccesso di tracotanza, per la “hybris” del potere... ».
Il giocattolo si rompe. Perché proprio in quel momento?
«Il giocattolo Montante si rompe quando arriva all’Agenzia, perché proprio le istituzioni che avevano implementato il suo potere creano uno squilibrio nei confronti di quel tipo di Confidustria nella gestione dei beni. Determinando un potere straordinario nelle mani di Montante, manager comunque capace sotto questo profilo, e delle persone a lui vicine».
O magari Montante era arrivato così in alto. Una guerra fra antimafie: “old style” contro “parvenu”?
«Possiamo anche indicarla così. Mi sta chiedendo se c’entri don Ciotti con Libera? Io sono convinto che questo scontro nasca proprio da Libera, che poi incappa nello stesso errore. Perché diventa un’altra struttura, non più spontanea. Ma è un altro discorso... ».
Cosa le fa pensare che c’entri Libera?
«È una mia idea, io ne sono convinto. Ma non ho elementi per dimostrarlo. Posso solo dire che l’unico dato non allineato al consenso che viene fuori dopo la nomina di Montante nel Cda dell’Agenzia è la posizione di Libera, che comunque fino a quel momento non era certo in contrasto con quella Confindustria».
In che senso?
«Io feci una conferenza, assieme a don Ciotti, in una scuola di Lentini, alla quale era stato assegnato un bene proprio da Libera. In quell’occasione non posso dimenticare che don Luigi, persona di grandissima cultura, tesseva le lodi pubbliche di Montante e di Lo Bello. E io, nel mio intervento, anche allora lo criticai. Così come presi posizione contro questo modo fittizio di gestire l’antimafia di Confindustria in diverse occasioni, anche nel 2003 e nel 2004. Anche una volta in cui Lo Bello era relatore. La cosa che mi fa specie è che fior fiori di prefetti e di uomini delle Istituzioni hanno tessuto le lodi o si sono fatti fotografare al momento della firma dei protocolli di legalità, che erano la finzione più grande. Chiunque, anche l’uomo della strada poteva accorgersene. Eppure gli uomini delle istituzioni hanno fatto finta che fossero altro».