Nonostante provi diuturnamente a prendere le distanze dall’amara realtà del nostro tempo “devastato e vile”, le vicende che la caratterizzano, mi ci tirano dentro.
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Così recita il primo articolo della nostra Carta Costituzionale.
La carta d’identità del nostro Paese. L’architrave che sorregge lo Stato Democratico.
Ma anche..il principio più ignorato, sconfessato, tradito della ‘Legge delle Leggi’.
Il diritto al lavoro, però, per quanto in sé dirimente, non è il solo – tra quelli che Norberto Bobbio, nel saggio “Destra e Sinistra”, definisce “diritti sociali” – di cui, nell’ultimo trentennio, la classe dirigente del nostro Paese ha fatto strame.
Ad esso, infatti, si aggiungono il diritto all’Istruzione (“La scuola è aperta a tutti. I capaci e meritevoli, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.”). E, dulcis in fundo, il diritto alla Salute (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”).
In ordine ai primi due – diritto allo studio e al lavoro – non ho certo bisogno di scrutare con lo sguardo oltre infiniti orizzonti, mi basta guardare negli occhi i miei commensali per comprendere fino in fondo il suo vergognoso livello di inattuazione. Si contano a milioni i giovani italiani –li chiamano NEET: persone non impegnate nello studio né nel lavoro né nella formazione – cui, dopo secoli di analfabetismo, s’è offerta la possibilità di studiare senza concedergli, però, quella di lavorare.
Sicché, tanto un giovane preso dalla sacra passione per l’esercizio dell’Avvocatura, quanto una ragazza che ‘ha fatto dei libri la sua patria’ – entrambi laureati con il massimo dei voti nei più qualificati atenei italiani – non solo non riescono ad esercitare le professioni per le quali hanno faticato, spremendo fino all’ultima goccia le risorse del magro bilancio familiare. Ma, non avendo, a breve, la benché minima prospettiva di scorgere nemmeno l’ombra dell’agognata autonomia economica, rischiano di perdere financo la propria, personale dignità. Sottoponendo, al contempo, ad un ulteriore, beffardo salasso le famiglie d’origine, costrette a sostenere ingenti costi per le psicoterapie necessarie a far loro ritrovare l’equilibrio perduto: avevano investito su una formazione di qualità intesa anche come “ascensore sociale”, si ritrovano ad essere disoccupati pur avendo superato da tempo i trent’anni.
Ma, s’è possibile, ancora più catastrofica, si presenta la situazione sul versante del diritto alla salute: così, oggi, a Marsala, può capitare di dover attendere più di dieci ore per accedere al PRONTO(!?)SOCCORSO dell’Ospedale “Paolo Borsellino”.
Può succedere a giovani adulti incappati in un qualche incidente stradale, così come ad ultraottuagenari feriti a seguito di una caduta tra le pareti di casa.
Per il lavoro e lo studio – come comunità cittadina – possiamo ben poco.
Ma, in ordine al diritto alla salute, possiamo almeno chiedere: A) Al Primo Cittadino – che il settore lo conosce e sa più di noi tutti ciò che meritoriamente si potrebbe fare e quel che, al contrario, nella realtà pratica avviene – di intestarsi la nobile battaglia tesa a ripristinare, nel nosocomio lilibetano, condizioni più umane per i malcapitati cittadini e per lo sventurato personale, costretto ad operare in un clima da ‘fortino assediato’.
B) Ai mezzi d’informazione, di “stare sul pezzo”, con serietà e costanza.
C) Ai cittadini – ‘Sesto Potere’ depotenziato per mancanza d’esercizio – di non scordare, risolta la sfavorevole contingenza, le assurdità, le vessazioni, i tempi biblici che, una volta varcata la soglia del ‘Pronto Soccorso’, sono stati costretti a subire.
Facciano sentire, dunque, i cittadini, chiara e forte la loro voce: con quotidiane prese di posizione che incoraggino il Sindaco a guidare la lotta, che non consentano più a nessuno di trattare con criteri aziendalistici ciò cui Padri Costituenti hanno conferito il rango del più fondamentale tra i suddetti ‘diritti sociali’.
G. Nino Rosolia