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05/02/2016 06:25:00

D'Alì e la mafia: c'è legame? Al processo d'appello altra udienza, altro rinvio

 Altra udienza, altro rinvio. Resta ai box il processo che vede il senatore Tonino D'Alì (Forza Italia) imputato dinanzi la Corte d'Appello del tribunale di Palermo con l'accusa di «concorso esterno in associazione mafiosa». Il procedimento è la naturale prosecuzione del primo grado di giudizio , in cui il politico venne assolto e parzialmente prescritto dalla medesima accusa. Tutto si svolse con il rito abbreviato e la sentenza venne pronunciata il 30 settembre 2013. Il processo d'appello invece è iniziato il 18 marzo 2015, anche stavolta in abbreviato. A sostenere l'accusa è il procuratore generale Domenico Gozzo mentre la Corte – dopo la nomina del magistrato Patrizia Spina alla sezione Misure di Prevenzione - è presieduta dal giudice Maria Borsellino.
Nell'ultima udienza Gozzo è tornato a chiedere la riapertura del dibattimento. 
Il passaggio è nevralgico e contestualmente il pg ha ricordato l'importanza delle testimonianze richieste: dall'ex capo della polizia Gianni De Gennaro al sacerdote don Ninni Treppiedi, passando per l'ex capo della Squadra Mobile di Trapani Giuseppe Linares ed i collaboratori di giustizia Nino Birrittella e Giovanni Ingrasciotta. Ci sono anche gli atti acquisiti dalla Procura di Firenze (quelli dell'indagine a carico di Andrea Bulgarella), ma il capitolo più sostanzioso è quello legato alla presunta influenza che D'Alì avrebbe avuto nel trasferimento di Linares da Trapani a Napoli, in cui dirige la locale Dia. E' in questo contesto che si inserisce una conversazione intercorsa tra Valerio Valenti, all'epoca capo di gabinetto del senatore, ed il poliziotto Emiliano Carena il 29 ottobre 2014. I due riflettevano sul ruolo di De Gennaro in un possibile trasferimento di Linares e per questa intercettazione ambientale il pg ha chiesto la trascrizione.
Poi è stato il turno dei legali del senatore D'Alì: Gino Bosco e Stefano Pellegrino. «Se dovessero essere ammesse le richieste di Gozzo – ha detto Bosco – sarebbe come ripartire con un rito ordinario, altro che appello abbreviato. Tutte le richieste si basano su fatti accaduti prima del processo di primo grado e non sono certo accadimenti nuovi. Ad esempio Linares fino a poco tempo fa è stato a Trapani, ma non fù ascoltato». Poi ci sono le minacce denunciate da don Ninni Treppiedi e Vincenzo Basiricò, collaboratore della Diocesi di Trapani. I due sarebbero stati avvicinati da Vito Santoro (politico vicino a D'Alì), Luigi Manuguerra (politico trapanese, Mauro Rostagno parlava di una Dinasty Manuguerra, poi condannato a 4 mesi per voto di scambio) e Girolamo Castiglione (maresciallo dei Carabinieri) in seguito alle rivelazioni fatte ai magistrati. Treppiedi e Basiricò dissero di essere stati «invitati» a ritrattare le dichiarazione e a riguardo c'è un episodio abbastanza singolare.

«Oggi produciamo 5 fascicoli – ha continuato Bosco – per un totale di 53 documenti. C'è la sentenza del processo Cosa Nostra Resort, c'è un verbale di Matteo Messina Denaro del 1988 in cui dice di aver avuto legami con un altro ramo familiare dei D'Alì, c'è un report giudiziario su Birrittella ed un altro sulle presunte minacce avvenute nell'estate del 2013. In quest'ultimo è allegato un articolo del settimanale trapanese Social. Il pezzo non è firmato e c'è un'intervista a Manuguerra in cui si evince che non c'era stata nessuna minaccia. Abbiamo contattato il direttore Vito Manca che ci ha indicati l'autore dell'articolo, Maurizio Macaluso. Il giornalista ci disse che durante una conversazione telefonica con Manuguerra, quest'ultimo passò il telefono a Basiricò che confermò di non aver ricevuto alcuna minaccia». E c'è da crederci. Processo rinviato al 3 marzo. In quell'udienza Gozzo replicherà alle richieste dei legali mentre la Corte dovrà esprimersi sulla riapertura del dibattimento e sull'audizione delle nuove testimonianze.

Marco Bova
https://twitter.com/marcobova



Giudiziaria | 2024-07-23 17:32:00
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