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23/01/2016 19:12:00

Se è un algoritmo a decidere che libro dobbiamo leggere...

 Diffido sempre dei sistemi numerici che vengono utilizzati per misurare le manifestazioni umane. Questa settimana affronto e sfido l’algoritmo:

sequenza ordinata e finita di passi (operazioni o istruzioni) elementari che conduce a un ben determinato risultato in un tempo finito

ecco, se mai dovessi mettere un annuncio per cercare un aiuto domestico, userei questa definizione alla voce: capacità richieste. Eppure già so che non mi basterebbe, non potrei mai accontentarmi di una persona efficiente e veloce, non vorrei mai a casa una sorta di robot che non prende il caffè con me, quando arriva, che non rallenta il suo ritmo per fermarsi a parlare di come stanno i suoi figli e non mi chiedesse dei miei. Certo la mia casa ne trarrebbe grande beneficio, ma io no. Gli esperti di matematica e affini già ridono di me, lo so, pronti a ribadire che anche io agisco ogni istante della mia vita grazie all’introiettamento di algoritmi. Faccio il caffè eseguendo passaggi precisi che, nel minor tempo possibile, mi consentono di ottenere lo stesso risultato (mi chiedo allora come mai alcune volte fa schifo e altre è delizioso), insomma ci muoviamo e facciamo le cose grazie agli algoritmi, pertanto dovrei smetterla di diffidarne e anzi ringraziarli. Poi però ti capita di leggere dello studio fatto su facebook, manipolando gli algoritmi che scelgono cosa mostrare quando accediamo alla nostra pagina. Questo esperimento ha dimostrato che , non solo è possibile orientare atteggiamenti e acquisti, ma anche emozioni. Siamo troppo suggestionabili per riuscire a sottrarci alla dittatura degli algoritmi che ci ritagliano il mondo a loro uso e consumo. In altre parole, se trovi post negativi ti adegui e posti anche tu le tue invettive, o viceversa se positivi. I ricercatori garantiscono che non è stata violata la privacy ed è tutto legale. Già, sarà legale, ma quanto etico non ci è dato sapere. Cosa c’entra l’etica con l’algoritmo? - dirà qualcuno – appunto, rispondo io. E poi aggiungo, c’era proprio bisogno di fare uno studio simile, provate ad uscire una sera con una persona depressa e vedete in che stato tornate a casa. Vuoi mettere uscire con chi è sempre di buon umore e ti fa sganasciare dalle risate? Immagino che qualcuno abbia pure pagato sti ricercatori per fare questo studio, e qualcosa mi dice che non si tratta di filantropi. Ora però devo contestualizzare questa storia dell’algoritmo rispetto alla mia rubrica che dovrebbe occuparsi di libri. Presto fatto. Vi siete mai chiesti come si decide quali libri restano in certe librerie e quali vanno resi? Esatto! Lo decide lui, l’algoritmo. Se un libro non si muove dopo un determinato periodo va reso, vagli a spiegare che è un libro di Moravia, Levi, Tolstoj, non gliene può fregare di meno. Non vende da tot giorni? Via. Se solo potesse ascoltarmi, comprendermi, ecco cosa direi all’algoritmo: grazie per avermi semplificato la vita nei piccoli gesti di tutti i giorni, mi dispiace che tu non possa ascoltare i miei pensieri mentre eseguo meccanicamente i gesti necessari per fare il caffè, mi dispiace per te che non puoi comprendere, emozionarti, leggendo “Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo”. Mi dispiace che tu non sappia quanto sia necessario aggiungere a quei gesti meccanici e necessari una componente che non conosci e che muove solo noi, poveri umani: la passione.

Katia Regina, libraia indipendente… mente.



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