E' sempre un tasto dolente per Vittorio Sgarbi lo scioglimento di Salemi per mafia nel periodo in cui lui era sindaco della cittadina del Belice. In questi giorni è tornato a parlarne e a confrontarsi con chi firmò quel provvedimento di scioglimento, l'allora ministro dell'Interno Cancellieri. I due fanno a botta e risposta sulle colonne de Il Giornale.
Ecco la lettera di Sgarbi.
llustre ministro (è lui che ho offeso), gentile dottoressa Cancellieri (di cui ho un buon ricordo), avrei sperato che il potere politico, nel quale io ho confidato, fosse in grado di valutare il mio impegno come sindaco contro i luoghi comuni di quell’antimafia opportunistica che ogni giorno di più viene smascherata.
Con quale logica sciogliere il Comune di Salemi,enontutti quelli limitrofi sotto la medesima influenza (politica e non mafiosa) Accanirsi contro una mafia fossile mi sembrava potesse richiedere una verifica sui fatti da parte del ministro e di una donna intelligente e di buonsenso, come io l’ho sempre reputata. Oggi la città di Salemi ha perso tutto il vantaggio e l’immagine che venivano dalla mia sindacatura e non c’è un solo indagato per mafia. Però con somma ingiuria il suo delegato stabilì di precludere proprio a me, estraneo a ogni intesa, la successiva candidatura a Cefalù. In questo quadro di palese ingiustizia ho confidato in un suo intervento non riparatore,madi verità. E sono stato profondamente deluso.
Ora che i fatti midanno ragione, vorrei dirle che sono sufficienti le parole di Agnese Borsellino pronunciate in una visita a Salemi, che io avrei voluto trovassero eco nel suo cuore: «Come siciliana sono felicissima della scelta di Sgarbi, sono convinta che comincerà una nuova stagione. Auguriamoci ci siano tanti Sgarbi che possano portare qualcosa di nuovo in altre realtà della Sicilia». A distanza di tempo l’inclemenza dello scioglimento ha ottenuto soltanto l’umiliazione di un paese che con me aveva rialzato la testa. Lei può capire, quindi, la mia delusione, anche personale e, nel mio carattere, la violenza della reazionenon contro di lei, ma contro la macchina amministrativa dello Stato che lei non ha ritenuto di fermare. Ho sbagliato ad aggredirla,ma insultavo il potere politico indebolito, non la sua persona. Non voglio giudicarla e sono qua anzi a scusarmi della mia esuberanza, paradossale e certamente irritante; ma lei può capire che non c’è niente di più doloroso, per chi crede nella propria azione e non accetta compromessi di essere accusati ingiustamente. Oggi posso essere «pentito» della sgradevolezza delle mie parole ma la prego di credere che eranosolo le dichiarazioni di un uomo deluso. Sono certo che lei avrà agito in buona fede e senza pregiudizio, ma sono altrettanto certo che davanti alla Storia, e anche alla piccola storia di Salemi, il suo è stato un errore. E ritenga queste mie parole
non una giustificazione della mia violenza verbale, ma l’espressione di una profonda amarezza che mi ha portato anche agli atteggiamenti scomposti che lei giustamente lamenta. Mene scuso sinceramente con la persona, ma non posso mutare il miogiudizio sulla insufficienza
politica. Le dirò, ne ho anche bastanti prove. Dopo la decisione del Consiglio dei ministri sulla sua proposta, ho parlato con quattro suoi colleghi, miei buoni amici. Nessuno di loro era consapevole o aveva avuto coscienza di essere stato chiamato a condividere lo scioglimento di Salemi. Portarli in tribunale sarebbe una mortificazione per lo Stato. Uno di loro, a decisione presa, mi ha detto: «Quando verrà in Consiglio la proposta di scioglimento?». Le ho detto tutto. E spero nella sua comprensione, rinnovandole la stima che le ho manifestato come prefetto e comecommissario.
Ecco la risposta della Cancellieri
Gentile professor Sgarbi. Vorrei che sapesse che comprendo la sua amarezza e la sua delusione. Al tempo stesso, però, ci tengo a riaffermare l’inevitabilità della mia decisione. Decisione presa con sofferenza e assoluta convinzione perché gli elementi istruttori in mio possesso, su cui si è basata la relazione del prefetto, indicavano una unica strada da percorrere, senza tentennamenti. Come già le dissi, il provvedimento non riguardava affatto la sua persona, ma il contesto ambientale e gli avvenimenti che maturavano in Comune durante le sue assenze.
Del resto, lo scioglimento di un Comune per condizionamento mafioso è una misura che non presuppone necessariamente la responsabilità individuale di ogni singolo amministratore, né sempre implica la diretta contaminazione della compagine di governo locale. Al punto che
né è stato spesso evidenziato il carattere di «tutela» del Comune coinvolto, piuttosto che quello, tout court, sanzionatorio.
Comprendo che lo scioglimento per infiltrazioni mafiose può non rivelarsi una misura risolutiva, come evidenzia il fatto che alcuni Comuni sono stati sciolti più volte per le stesse ragioni di inquinamento. Il commissariamento di un Comune per mafia è, infatti, solo il primo atto di una rigenerazione del tessuto sociale. Ad esso deve seguire una sensibile ed accurata azione della Commissione amministratrice ed una serie di interventi che ridiano alla popolazione slancio e fiducia, che facciano comprendere come la via della legalità sia giusta e premiante per loro e le generazioni future.
Il discorso è complesso e richiederebbe approfondimenti ed analisi che non possono trovare spazio in queste mie poche righe. È un tema che chiama in causa anche l’arretratezza delle condizioni generali del nostro Sud, spesso colpevolmente abbandonato al dominio dei poteri criminali. Ci tengo, però, che lei sappia che ogni decisione da me presa di scioglimento per mafia è stata sempre esaminata e approfondita con estremo scrupolo e non è mai stata adottata con leggerezza. So bene,infatti, quale trauma essa rappresenti per la popolazione, ma so anche che non usare gli strumenti di rigore che la legge prevede tradirebbe le attese di quella parte sana della cittadinanza, la quale crede nello Stato e dallo Stato attende legalità e fermezza. Con riferimento, poi, alla vicenda della sua successiva incandidabilità al Comune di Cefalù, vorrei precisare che non fui io né tantomeno un mio delegato a sbarrale la strada verso quella candidatura, bensì la decisione che assunse il tribunale di Marsala, prima, e la Corte di Appello di Palermo, poi. In definitiva, anche a questi effetti, fu applicata la legge, che rimette all’imparziale valutazione della magistratura, e non certo al governo, ogni giudizio sulle cause di incandidabilità soggettiva.
Ultimo: mi dispiace che i miei colleghi, suoi buoni amici, fossero distratti quando il provvedimento è stato approvato dal Consiglio dei ministri, ma sono più che certa della collegialità della decisione che venne presa. Al di là di tutto, resta da parte mia, come le dicevo, la comprensione per la sua amarezza e la disillusione di aver creduto,in perfetta buonafede, di poter offrire un contributo di intelligenza e di volizione alla rinascita di una realtà così bella della nostra amata Sicilia. A me rimane la limpida coscienza di aver agito con correttezza ed onestà intellettuale.
La ringrazio per la stima, che ricambio.