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06/11/2015 06:30:00

"Malasanità" a Mazara. Chiesto processo per tre medici

 Nell’udienza preliminare davanti al Gup di Marsala Riccardo Alcamo tenuta per decidere sulle richieste di rinvio a giudizio per due medici dell’ospedale di Mazara accusati di lesioni colpose aggravate e di un loro collega del 118 che deve rispondere di omicidio colposo, le difese si oppongono all’ammissione di alcune parti civili. Non potendo nulla obiettare sui familiari della vittima (ad assisterli è l’avvocato Ignazio Bilardello), i legali dei tre medici si sono opposti alle richieste di associazioni quali il Tribunale per i diritti del malato, Codici onlus e Codici Sicilia. Su queste opposizioni il gup deciderà il 25 novembre. I due medici dell’ospedale di Mazara accusati di lesioni sono Maria Assunta Canino, 51 anni, trapanese, e a Francesco Quattrocchi, di 64, palermitano, mentre quello del 118 che deve rispondere di omicidio colposo è Pietro Valenti, 59 anni, nato a Partanna, ma residente a Marsala. Per “negligenza, imprudenza e imperizia, nonché inosservanza delle regole medico chirurgiche”, i primi avrebbero fatto andare in coma un paziente, mentre, poco più di due anni dopo, il terzo non sarebbe riuscito a evitarne la morte. Vittima: Antonino Santo, di Petrosino, affetto da SLA e tracheostomia, deceduto a 56 anni il 17 gennaio 2013. A Canino e Quattrocchi, il 9 settembre 2010 rispettivamente di turno al reparto di Pneumologia e al Pronto soccorso dell’ospedale di Mazara, si contesta di aver provocato il coma al paziente dopo che questi era stato trasportato al nosocomio in quanto non riusciva quasi più a respirare perché il ventilatore domiciliare era andato in tilt per una temporanea interruzione dell’energia elettrica. A fronte delle difficoltà respiratorie, i due medici non avrebbero proceduto “alla disostruzione della cannula tracheostomica, perseguendo l’errata ipotesi che ricollegava i disturbi respiratori al malfunzionamento del ventilatore”. I due medici dell’ospedale, inoltre, non avrebbero disposto un’analisi diagnostica (emogasanalitica) che, a giudizio della Procura, “avrebbe consentito ai sanitari di porre in essere le manovre necessarie ad impedire la dissociazione elettromeccanica”. Tutto ciò avrebbe provocato un rapido peggioramento delle condizioni del paziente, che entrò in coma. Oltre due anni dopo, il 16 gennaio 2013, a causa di un’altra crisi, fu chiesto l’intervento del 118, che con un medico (Pietro Valenti) intervenne a casa di Antonino Santo. Al medico, la moglie di Santo consegnò i risultati delle analisi di laboratorio effettuate nei due giorni precedenti, dalle quali emergeva un quadro sanitario preoccupante, ma ciò nonostante il dottor Valenti non ne avrebbe disposto l’immediato ricovero in ospedale. E questo, sempre secondo l’accusa, sarebbe stato alla base di un “ritardo diagnostico terapeutico” con “conseguente decesso il giorno successivo per sindrome ipo-osmolale-plasmatica”. L’indagine è stata svolta dal maresciallo Francesco Pellegrino, capo della sezione di pg dei carabinieri della Procura, che ha individuato i sanitari protagonisti della vicenda e messo in ordine tutti i tasselli del puzzle investigativo.



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