La condanna a nove anni di reclusione inflitta a don Sergio Librizzi a Trapani è circolata con una velocità impressionante. Tutti in poche ore hanno metabolizzato una certezza ormai consolidata. Sin dall'arresto del prelato, fedeli e cittadini avevano, compreso la qualità delle indagini condotte sul campo dal Corpo Forestale di polizia giudiziaria e nell'immediato i fatti erano apparsi parecchio cristallini. Testimonianze ed intercettazioni (telefoniche ed ambientali) avevano restituito una cronaca live degli episodi contestati, lasciando poco spazio ad altre interpetazioni. Tuttavia ad oltre un anno dall'arresto, ed a cinque giorni dalla condanna, su don Sergio Librizzi restano dei punti interrogativi inquietanti. Dilemmi avvalorati dal contenuto dell'ordinanza che nel giugno 2014 dispose l'arresto del prelato e non ancora del tutto chiariti.
Nel provvedimento (stilato dalla Procura di Trapani e convalidato dal gip Emanuele Cersosimo) oltre alle accuse legate ai reati di tipo sessuale, il pool di magistrati (coordinato dal Procuratore capo Marcello Viola e composto dai sostituti Paolo Di Sciuva, Sara Morri ed Andrea Tarondo) ricostruiva il contesto nel quale il parroco si sarebbe mosso. In quei giorni gli inquirenti, oltre a rappresentare i «potenziali» reati sessuali - confermati dalla sentenza emessa lo scorso 30 ottobre – delineavano un vero e proprio «Universo Librizzi». Una sorta di costellazione nella quale emergevano link e connessioni tutte da sviluppare. Come l'influenza impressa nel mondo dell'accoglienza ai migranti. Ma non solo, dato che Librizzi, sin da quando venne a trovarsi a Trapani, si tuffò energicamente nelle attività cittadine intrattenendo relazioni con diversi spaccati della società.
«Dopo la scuola elementare – si legge in uno dei documenti acquisiti durante il procedimento – è stato inserito in un istituto riservato a bambini con quoziente intellettivo superiore alla media, dove ha conseguito la licenza media, quindi ha ottenuto la maturità scientifica a Nicosia e infine la laurea in Scienze politiche e diritto internazionale presso l'Università di Padova. Durante gli studi, si è recato in Brasile per conto di una Ong per tre anni. Nel 1985, dopo la morte della nonna, ha lasciato Padova ed è tornato a Petralia dove ha iniziato a lavorare nell'autorimessa di proprietà del padre. Inoltre ha cominciato ad occuparsi di numerose altre attività: ha avviato un coro polifonico, ha lavorato presso corsi professionali, si è dedicato alla politica venendo eletto nel consiglio comunale e ha ricoperto il ruolo di assessore all'urbanistica». Poi nel 1988 si trasferisce a Trapani diventando sacerdote nel 1996 con un anno di anticipo rispetto al tradizionale percorso in seminario. Da lì fù tutto un divenire. Prima il rettorato del seminario di Trapani, poi la direzione della Caritas (per un certo periodo anche a livello regionale) ed infine nel 2007 l'ingresso nella Commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato politico.
E' questo il preambolo necessario per entrare all'interno dell'«Universo Librizzi» che negli ultimo decennio ha rappresentato orizzontalmente il sistema dell'accoglienza ai migranti in provincia di Trapani, attraverso la cooperativa Badiagrande. Secondo i magistrati ne era lui il reale gestore e attraverso la coop gestiva «in via diretta o indiretta, tutti i centri di accoglienza presenti nella provincia di Trapani[ ]mediante una rete clientelare di cui fanno parte anche membri delle forze dell’ordine, del mondo del volontariato, delle Ipab, della Diocesi trapanese e dell’apparato amministrativo locale». I magistrati questo profilo lo tracciavano nell'immediato, aggiungendo come riuscisse a «conoscere in anticipo» l'arrivo delle ispezioni ministeriali e «tutto veniva messo a posto per bene».
Badiagrande è una cooperativa della Diocesi di Trapani. Attualmente gestice il Cie di Milo, due progetti Sprar (Valderice e Trapani) ed un Cas a Bonagia, e nel corso dell'ultimo ventennio non c'è stata innovazione gestionale che non l'ha vista protagonista. Un periodo (quello tra gli anni novanta e l'inizio del duemila) che per associazioni, fondazioni e cooperative impegnate nell'accoglienza ai migranti ha rappresentato un apprendistato formativo. Erano gli anni dei primi centri, dell'approssimazione finanziaria, e in quel contesto Librizzi rappresentava una certezza per le istituzioni impegnate nella continua ricerca di strutture da destinare all'emergenza migranti mentre per gli altri enti gestori era visto come un mentore. Tutti questi elementi, nel giugno 2014, campeggiavano nell'ordinanza di custodia cautelare e pochi mesi dopo i primi dubbi diventarono l'argomento fondante di un nuovo fascicolo di indagine sull'intero sistema di gestione dei centri presenti in provincia. Ma non solo.
Interrogato su alcune rendicontazioni della Caritas, Librizzi non ha faticato a considerarle «fittizie» addebitandole all'ex vescovo Francesco Miccichè. Sono i fondi destinati all'otto per mille e su questa vicenda Miccichè è indagato per «appropriazione indebita aggravata». Stando alle ricostruzioni dell'accusa, i due si sarebbero coperti a vicenda. L'uno non avrebbe rivelato il «vizietto» dell'altro in cambio della copertura sulle proprie «sottrazioni finanziarie». Poi c'è il capitolo politica. In questi anni, in provincia, non c'è stato politico che non abbia avuto a che fare con Librizzi. In un'intercettazione il prelato è stato ascoltato commentare delle scelte politiche del senatore Tonino D'Alì, ma la portata più ghiotta sarebbe quella riservata alle conversazioni telefoniche intercorse con alcuni rappresentanti del Dipartimento delle libertà civili e dell'immigrazione. Rebus sui quale gli investigatori stanno lavorando da mesi. Quesiti tuttora aperti, sui quali si attendono sviluppi. In attesa della sentenza d'appello.
Marco Bova