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23/10/2015 06:35:00

Dalle province all'acqua, le mine di Matteo Renzi su Rosario Crocetta

 Dopo Marino, tocca a Cro­cetta. Renzi non molla la presa. E l’impugnativa della legge sull’acqua pub­blica, che ha rece­pito la volontà popo­lare espressa col refe­ren­dum, appare come il pro­se­gui­mento di una stra­te­gia, che a molti anche nel Pd sici­liano appare ormai chiara: scre­di­tare la Sici­lia e il governo Cro­cetta. Ci ha impie­gato solo sette minuti il Cdm a cas­sare la legge appro­vata dall’Assemblea sici­liana lo scorso agosto.

Una impu­gna­tiva del resto annun­ciata da giorni dal sot­to­se­gre­ta­rio Davide Faraone, pro­con­sole di Renzi in Sici­lia, che da mesi prova a fare fuori poli­ti­ca­mente il gover­na­tore. Prima caval­cando le dimis­sioni di Lucia Bor­sel­lino da asses­sore alla Sanità, poi spin­gendo sull’acceleratore quando gli attac­chi a Cro­cetta per via dell’intercettazione col medico Mat­teo Tutino, smen­tita da quat­tro Pro­cure anti­ma­fia, hanno fatto tra­bal­lare il gover­na­tore che, accer­chiato dai fal­chi del Pd e tra­mor­tito dalla super­fi­cia­lità dei com­menti a caldo delle più alte cari­che dello Stato, ha dav­vero pen­sato alle dimis­sioni. Per poi tor­nare più agguer­rito di prima.

Fal­lito il dop­pio sgam­betto, la stra­te­gia non è cam­biata. Que­sta volta facendo leva sul potere d’impugnativa delle leggi, che la Con­sulta, all’epoca gui­data dal sici­liano Gae­tano Sil­ve­stri nel giro di poche set­ti­mane, ha tolto all’ufficio del com­mis­sa­rio dello Stato dopo sessant’anni, tra­sfe­rendo le fun­zioni al Cdm, organo chia­ra­mente poli­tico. Nel giro di pochi mesi, la Pre­si­denza del Con­si­glio ne ha cas­sate ben tre di leggi sici­liane, l’ultima ieri. Quella sull’acqua pub­blica appunto. Una legge che ha rimesso in mani pub­bli­che un set­tore che ha con­sen­tito ai pri­vati, com­prese alcune mul­ti­na­zio­nali, di fare busi­ness per anni creando car­roz­zoni man­gia­soldi e clien­tele di ogni tipo in una regione, la Sici­lia, dove l’acqua in alcune zone di Agri­gento, Tra­pani e Mes­sina viene ancora ero­gata a sin­ghiozzo. Una legge soste­nuta da alcuni deputati-sindaci, come Gio­vanni Pane­pinto (Pd), in rac­cordo col Forum per l’acqua pub­blica, che è stata per­sino modi­fi­cata in extre­mis prima del voto finale pro­prio sotto la pres­sione dei ‘ren­ziani’, che con il loro asses­sore all’Energia Vania Con­traf­fatto, sono riu­sciti a far pas­sere emen­da­menti a favore dei privati.

«Se non si modi­fica così, la legge verrà impu­gnata», era stata la minac­cia dell’assessore ‘ren­ziano’. Ma evi­den­te­mente non è bastato. L’impugnativa è arri­vata pun­tale. «L’impugnativa ci appare asso­lu­ta­mente inop­por­tuna», accu­sano i depu­tati sici­liani del Pd alla Camera Anto­nino Moscatt, Franco Ribaudo e Magda Culotta. Per­ché la legge «è frutto di un lavoro lungo e attento che ha coin­volto ammi­ni­stra­tori locali, asso­cia­zioni, movi­menti e par­titi poli­tici» e «la difen­de­remo restando in prima linea a fianco del Pd sici­liano e del governo». E Cro­cetta aggiunge: «Valu­te­remo gli atti da com­piere per supe­rare il problema».

Da giorni i gior­nali erano inon­dati di indi­scre­zioni sulla pro­ba­bile impu­gna­tiva della legge. Un refrain. E’ acca­duto anche per altre due leggi impu­gnate in pre­ce­denza, quella sugli appalti e quella sull’abolizione delle ex Pro­vince regio­nali, pun­tual­mente pre­an­nun­ciate alla stampa dal sot­to­se­gre­ta­rio Faraone. Si tratta di tre leggi sulle quali in realtà pro­prio il gover­na­tore Cro­cetta ha poca o addi­rit­tura nes­suna respon­sa­bi­lità. La riforma degli appalti porta la firma soprat­tutto del Movi­mento 5stelle e della lobby dell’Ance, i costrut­tori sici­liani; quella sulle Pro­vince, invece, è frutto di un ampio com­pro­messo e la sua pater­nità va ricer­cata tra i cor­ri­doi bipar­ti­san dell’Assemblea.

Nei giorni scorsi, il com­mis­sa­rio dello Stato, ormai spet­ta­tore, dichiarò senza mezzi ter­mini che sulle Pro­vince c’è in atto un falso dibat­tito. Lo Sta­tuto sici­liano, ante­ce­dente alla Costi­tu­zione, infatti sta­bi­li­sce che in Sici­lia ci sono i Liberi con­sorzi, che poi il legi­sla­tore sici­liano, deno­minò «Pro­vince regio­nali», che nulla hanno a che fare, giu­ri­di­ca­mente, con le Pro­vince abo­lite dalla legge Del­rio. La com­pe­tenza di defi­nire gli ambiti ter­ri­to­riali e le fun­zioni spetta dun­que al legi­sla­tore sici­liano e non allo Stato. Eppure la Pre­si­denza del Con­si­glio è inter­ve­nuta a gamba tesa.

Un dop­pio bina­rio, poli­tico e isti­tu­zio­nale, che per Cro­cetta è una spada di damo­cle, pronta a tran­ciare la legi­sla­tura in anti­cipo rispetto alla sca­denza natu­rale del 2017. In Assem­blea, il pro­con­sole Faraone conta sulle new entry nel Pd, in par­ti­co­lare l’ex cuf­fa­riana Vale­ria Sudano e l’ex Udc Luca Sam­mar­tino, gio­vani depu­tati con alla spalle un bel pac­chetto di voti. L’allargamento a destra dei «ren­ziani» è emerso alla luce del sole durante la cosid­detta «Leo­polda sici­liana», quando Faraone a Palermo aprì le danze allo scon­tro con il gover­na­tore, accu­san­dolo, tra le tante cose, di fare un anti­ma­fia di fac­ciata. Dalla sua parte, Faraone ha tirato anche l’ex mini­stro Totò Car­di­nale, ispi­ra­tore della neo­nata «Sici­lia Futura», pre­fe­rendo l’accordo col nuovo ed ete­ro­ge­neo movi­mento piut­to­sto che appog­giare l’alleanza, in linea con quanto avviene a Roma con l’asse Renzi-Alfano, tra Udc (in mag­gio­ranza) e il Ncd (all’opposizione di Cro­cetta), soste­nuta invece dal gio­vane turco Fau­sto Raciti, segre­ta­rio del Pd sici­liano, che lavora per tenere la coa­li­zione e creare un asse fino alle pros­sime regio­nali. Un’operazione non facile, con­si­de­rando i rap­porti tesi tra Palermo e Roma. A con­fer­marli anche Ales­san­dro Bac­cei, l’assessore «tec­nico» impo­sto a Cro­cetta dal mini­stro Del­rio per gui­dare l’Economia, e vicino a Faraone. «Roma mal­tratta la Sici­lia», ha chio­sato Bac­cei. For­nendo anche qual­che numero. Solo di cre­diti nei con­fronti di Stato e Ue, la Sici­lia avanza ben 10 miliardi di euro iscritti a bilan­cio come «resi­dui attivi»: soldi che potreb­bero fare cassa risol­vendo i pro­blemi di liqui­dità della Regione.

Di con­tro la Sici­lia è costretta a con­tri­buire alla finanza pub­blica con un miliardo e 400 milioni all’anno, seconda solo alla Lom­bar­dia. Non solo. Lo Stato deve all’isola ben 700 milioni alla voce sanità, men­tre l’innalzamento della quota di com­par­te­ci­pa­zione della Regione al fondo sani­ta­rio ha com­por­tato un mag­giore onere per le casse regio­nali di 600 milioni all’anno. E poi c’è la que­stione dello sta­tuto spe­ciale. Se appli­cato, la Regione potrebbe incas­sare qual­cosa come 9 miliardi di euro, met­tendo a posto i conti e potendo vivere senza tra­sfe­ri­menti sta­tali. Ma la Con­sulta, di recente, ha sen­ten­ziato che lo Stato non deve nulla alla Sici­lia, ammet­tendo però che l’isola è stata pena­liz­zata, con­si­gliando alla Regione di nego­ziare con Roma. In ballo ci sono solo per il 2016 un miliardo e mezzo di euro, il resto dovrebbe essere discusso in sede di riforma dello statuto.

L’intesa tec­nica per i fondi del 2016 tra Palermo e Roma c’è già, manca quella poli­tica. Senza la coper­tura del disa­vanzo, la Sici­lia diven­terà una pol­ve­riera sociale.  

Ugo Maria Leto, Il Manifesto 



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