Gli antropologi insistono sul fatto che l’homo sapiens è stato homo religiosus sin dal principio. Questo primate iniziò a essere “umano” quando cominciò ad aver bisogno di un senso per vivere, giungendo con ciò a percepire una dimensione spirituale, sacra, misteriosa... Ma dovettero passare 10.000 anni prima che l’idea concreta di “dio” tale a come poi è giunta a noi si generalizzasse e si imponesse prevalentemente nelle religioni “agrarie” .
Il concetto greco di dio (theos) avrebbe marcato successivamente l’Occidente: è il “teismo”, un modo di concepire il religioso centrandolo interamente nella figura di “dio”. Gli dei vivono in un mondo al di sopra del nostro, e sono molto potenti, però, come noi, hanno passioni umane, molto umane. Gli stessi filosofi greci criticheranno quell’immagine troppo umana degli dei.
Anche il cristianesimo purificherà l’immagine abituale di Dio, che continuerà a essere, tuttavia, piuttosto antropomorfica: Dio ama, crea, decide, si offende, reagisce, interviene, si pente, perdona, redime, salva, ha un progetto, si allea... come noi, che del resto siamo fatti a sua immagine e somiglianza. Quel Dio onnipotente, Creatore, Causa prima, Signore, Giudice... rimase infine al centro della cosmovisione religiosa occidentale, come la stella polare del firmamento religioso intorno a cui tutto gira. Di Dio non si poteva neanche dubitare: già il dubbio era un peccato, contro la fede. Credere o non credere in Dio: questa era la questione decisiva. Tutto il mistero dell’esistenza dell’umanità dipendeva da Dio, che, senza manifestarsi direttamente agli esseri umani, li sottopone alla prova di “credere” fermamente in lui, “fidandosi” di determinati segni o indizi lasciati nel mondo. La “prova” decisiva che Dio poneva all’umanità consisteva in questo, nel “credere in Dio”, un Dio che non si vede.
Però, a partire dal XVII secolo, l’evoluzione della scienza fa retrocedere “Dio” riguardo a tutto ciò che gli era stato attribuito fin allora. La scienza scopre le “leggi della natura”: i folletti e gli spiriti ormai non sono più necessari, i miracoli spariscono, e diventano persino incredibili.
Se nel XVIII secolo iniziò l’ateismo, nel XX si moltiplicò esponenzialmente: fu la scelta “religiosa” che ebbe maggior sviluppo. Aumentano gli a-theos, i “senza-Dio”, che non sono persone di cattiva volontà che vogliono combattere Dio, ma persone a cui questa immagine, questo concetto di Dio spesso non risulta credibile, e nemmeno intellegibile. L’idea di “dio” viene messa sempre più profondamente in questione.
Il cristianesimo occidentale dei secoli XVIII-XIX interpretò l’ateismo come anticlericalismo, e in parte aveva ragione. Più tardi però avrebbe riconosciuto che i critici atei avevano un’altra gran parte di ragione: noi cristiani abbiamo velato più che rivelato il volto di Dio. Abbiamo spesso difeso, predicato e sostenuto immagini inadeguate di Dio, e ora, sono molti i cristiani che riconoscono di non credere nemmeno loro in quel Dio in cui non credono gli atei. L’essere umano moderno adulto non si sente a suo agio di fronte a un Dio paternalista e “tappabuchi“.
Dobbiamo pertanto riconoscere che l’idea di “theos” ha i suoi problemi, in quanto implica l’oggettivazione di Dio:
- Dio diventa “un essere”, molto speciale, però un essere concreto, un “individuo”... che vive in cielo, “lassù, là fuori”... Ancora oggi l ’immensa maggioranza dei credenti di questo pianeta crede che sia letteralmente così.
- E’ una “persona”: ama, perdona, ordina, ha un progetto... come noi... Non è antropomorfismo?
- E’ onnipotente, Signore, padrone assoluto di tutto, da cui dipende interamente l’essere umano, un Giudice universale che premia e castiga...
- Si prende cura con la sua “provvidenza” della storia umana ed esercita e detiene la responsabilità ultima sul suo corso e sulla sua fine. Non ci deresponsabilizza?
- E’ il Creatore che un giorno ha deciso di creare, invece di continuare a lasciar esistere il nulla. Essendo creatore, è assolutamente “trascendente”, totalmente diverso dal cosmo che avrebbe potuto non esistere mai se il Creatore non avesse deciso di farlo sorgere e di mantenerlo continuamente in essere... Non siamo di fronte a un dualismo radicale che pone l’Assoluto da un lato e la realtà cosmica, spogliata da ogni valore, dall’altro?
- Tradizionalmente è stato un dio del mio paese o della mia religione, che “ci ha scelto” e ci protegge di fronte agli altri, ci ha rivelato la verità e ci dà una missione universale per salvare gli altri... Un dio tribale, particolarista, provinciale?
A ben vedere, il concetto “Dio” è un modello che è stato utile, un modello geniale che ha conquistato per millenni l’umanità, ma che con l’avanzare della storia ha evidenziato i suoi limiti, le sue implicazioni inaccettabili, anche le sue gravi mancanze. È stata una maniera di modellare il Mistero che percepiamo e che vogliamo evocare, ma un modello che da tempo risulta inaccettabile per un numero crescente di persone, le quali non rifiutano la sacralità della vita e della realtà, la sua Divinità, ma non riescono a “modellarla” come un theos. Allora ci si domanda: come si può parlare del sacro dopo la scomparsa di Dio, del Dio della teodicea, del Dio ontoteologico, onnipotente e necessario?
Se esiste il mistero della Divinità - e non sono molti a negarla - deve essere qualcosa di più profondo di ciò che quella fede tradizionale ha immaginato come “Dio”. Allora, «solo ammettendo di non conoscere effettivamente nulla di Dio, possiamo iniziare a ripristinare la presenza del sacro nella carnalità dell’esistenza terrena». (Richard Kearney, “Ana-teismo”, Fazi editore, p. 5). Intuire il Mistero, intuire con riverenza il Sacro della realtà, la Realtà ultima, inesprimibile e indescrivibile, e accoglierla in un riverente e rispettoso silenzio senza forme, è altro dal credere che quel Mistero adotti concretamente il modello “Dio” (theos, un essere onnipotente che si trova lassù...). Oggi questa distinzione si accentua e salta più chiaramente alla vista. Il teismo viene visto sempre più come un modello, uno, non l’unico, non necessario.
Il teismo è un modo concreto di immaginare-concepire il divino, uno strumento concettuale o cognitivo, un aiuto, ma non è l’unico modello, né un modello imprescindibile. Il teismo è uno strumento culturale che si è mostrato sommamente utile, persino geniale; ma non è una “descrizione fedele” della Realtà ultima, inaccessibile e inimmaginabile.
È una creazione umana, perciò soggetta al cambiamento; ci è sembrato un’idea evidente, ma l’umanità ha trascorso molto tempo senza di esso e arriva il momento in cui molte persone non si trovano più a loro agio con questo modello che appare incompatibile con la percezione attuale del mondo. Sentono che il “teismo”, l’immaginare la Realtà ultima come “dio”, non è l’unica maniera di relazionarsi con essa, né la migliore, né sempre positiva. Da qui la necessità di nuove immagini, nuove metafore di Dio.
Ecco allora che al teismo non si oppone più l’a-teismo (o un insignificante deismo: l’affermazione, cioè, di un Dio così oltre la vita di questo mondo da rendere impossibile ogni relazione con il divino), ma il post-teismo: l’atteggiamento profondo di chi crede nella Divinità ma senza considerarla theos.
“Credere o non credere in Dio” non è più, dunque, il centro della questione. La polemica tradizionale sull’esistenza di Dio, che tanto aspre discussioni ha prodotto negli ultimi secoli, oggi non ha più senso: si può credere in Dio senza credere in theos. Si potrebbe quindi essere cristiani e non essere teisti, non credere in “dio-theos”, ma nella Realtà divina, nella Divinità. Ovviamente, ciò suggerisce la necessità di una “rilettura post-teista” delle religioni attualmente teiste. Una difficoltà speciale - ma non insuperabile - può rivestire il caso del cristianesimo, tradizionalmente espresso in termini teisti.Tuttavia, non essendo nella sua essenza una religione, il cristianesimo può abbandonare tutto ciò che della religione ha acquisito a poco a poco, a cominciare dal teismo, che ne è la radice.
L’umanità è passata da epoche pre-teiste a una teista, e forse si sta incamminando verso un’epoca post-teista. Se una religione è chiamata a continuare a servire l’umanità oltre un’epoca teista, è da supporre che conterà su risorse interne sufficienti per riconvertirsi post-teisticamente. Una reinterpretazione post-teista del cristianesimo è già portata avanti da molti, a livello pratico e teorico (R. Kearney – J. Spong). Certo, manca ancora molto perché questa intuizione si depositi per bene: il teismo è un modello fortemente radicato, identificato per definizione con la religione. A molti risulta difficile giungere a considerarlo come un “modello” separabile all’interno della religione stessa, ma il modello teista non è assoluto; è così tradizionale che a molti appare imprescindibile, ma non lo è. E lo sarà sempre meno. Ma, in ogni caso, l’alternativa al teismo non è l’ateismo, ma il “post-teismo”, o semplicemente il non teismo. Ed entrambe le forme sono compatibili con l’esperienza spirituale dell’essere umano.
José María Vigil