Nel bel mezzo della calura estiva giunge notizia che, alla ripresa dei lavori parlamentari, la sinistra PD darà battaglia al governo sul tema della riforma del Senato, che ora si vorrebbe nuovamente su base elettiva! Un tentativo di mostrare i muscoli che appare fuori tempo massimo.
Giocarsi il tutto e per tutto su una riforma come quella del Senato rischia di essere percepito dall’opinione pubblica come rispondente più ad interessi di casta che alle reali esigenze del Paese.
Sarebbe stato opportuno farlo sui grandi temi sociali investiti dalle turboriforme renziane come la scuola o il lavoro, rispetto ai quali la reticenza della sinistra PD è stata a dir poco imbarazzante: probabilmente si è preferito barattare qualche ricandidatura, con l’effetto inevitabile di perdere la rappresentatività di quei corpi sociali che da sempre vedevano nella sinistra il luogo politico di riferimento.
Un errore strategico di cui si vedranno le conseguenze al momento del voto.
In questo contesto si è inserita la voce del presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, che, non senza destare un qualche imbarazzo nell’attuale inquilino del Colle, ha rivolto uno dei suoi moniti alle forze politiche affinchè non si torni indietro rispetto ad una riforma – quella del Senato dei “nominati” - da lui stesso fortemente sponsorizzata.
Anche la voce del presidente emerito, non ce ne vorrà, appare fuori tempo massimo.
In questo Paese siamo ormai abituati alla regola del non uscire mai di scena, pur quando sarebbe opportuno o elegante farlo.
A dispetto dei dati statistici che parlano di lenta ripresa, il Paese è ingessato, attanagliato da una pressione fiscale che non dà respiro alle famiglie e alle imprese, depotenziato nelle sue articolazioni decentrate (enti locali) per la cronica mancanza di risorse, disorientato da quotidiani annunci che vengono smentiti nei fatti.
Vedi, in tema di liberalizzazioni, l’apertura agli avvocati circa la possibilità di stipulare atti di trasferimento immobiliare, storicamente osteggiata dalla classe notarile e, non a caso, scomparsa nelle nebbie dei lavori parlamentari o la nomina del nuovo CdA della RAI che, lungi dal realizzare l’annunciata emancipazione dai partiti, è figlia del più abusato manuale Cencelli.
In entrambi i casi si è proceduto annunciando riforme e facendo poi clamorose marce indietro.
Non se la passa meglio neanche il settore dei beni culturali.
Il Ministro Franceschini ha appena promosso a capo della più importante Soprintendenza italiana (quella di Roma) chi, pur potendo farlo, non ha mosso un dito contro uno scempio urbanistico senza precedenti perpetrato nel bel mezzo del Canal Grande: l’edificazione di un discutibile hotel-cubo in cemento bianco accanto alle fragili architetture dei Dogi.
Ma anche qui, ancora una volta, si è arrivati fuori tempo massimo.
Avv. Vincenzo Pantaleo