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08/08/2015 00:10:00

Lo sgancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki

 Stanno per passare quasi sotto silenzio due date storiche dell'umanità: Il 6 ed il 9 agosto ricorrono gli anniversari dello sgancio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Era il 1945, e la guerra in Europa era finita. Ancora si combatteva nel Pacifico, perché l'Impero Nipponico non accettava le condizioni di resa. Gli alleati, e soprattutto gli americani, si trovarono di fronte ad un bivio: continuare per mesi e forse ancora per anni il conflitto con i resti delle forze dell'Asse, o tentare di porvi fine con l'utilizzazione della nuova arma atomica? Furono fatti calcoli di uomini e mezzi, di sforzi ancora necessari e di prospettive future. Gli americani avevano perduto in quei lontani Paesi, i più lontani dalla madrepatria, oltre centomila soldati. I nipponici di più, ed ai militari nipponici scomparsi si aggiungevano almeno altrettante persone civili. Ma l'Impero Nipponico, nella sua modernità ed arretratezza, aveva nei suoi figli i difensori più strenui della sua potenza. La classe politica e quella militare si contrastarono a lungo, di fronte alla previsione della sconfitta, sull'opportunità di accettare la resa durissima che gli avversari avevano chiesta. Ma la spuntavano i militari, che ritenevano di potere ottenere, continuando combattere, una resa più equa.
Dal popolo giapponese veniva alle alte sfere militari la risposta dovuta. I soldati nipponici erano i discendenti degli antichi Samurai, e ne interpretavano secondo tradizione lo spirito di casta. Il loro sacrificio per la patria era abbondantemente vivificato da atti di eroismo che prevedevano persino la morte volontaria per se stessi pur di infliggere colpi all'avversario.
Dalla parte occidentale furono conteggiati i morti che sarebbero ancora caduti se la guerra fosse continuata con le armi tradizionali. Si arrivò al risultato di altre duecentomila morti americani, oltre quelli che sarebbero cessati di vivere tra i nemici. Si scelse infine l'opzione atomica. A questa tendevano nemmeno tutti i vertici dell'organizzazione bellica statunitense. Eisenhower, per esempio, che allora dirigeva il settore europeo, fu informato della possibilità dello sgancio delle bome atomiche sul Giappone, e restò triste e perplesso. Riteneva - lui stesso l'ha scritto - che il conflitto sarebbe ugualmente finito dopo pochi mesi, senza l'uso dell'arma di distruzione di massa. La spuntarono infine i falchi. Una mattina del 6 luglio del 1945, " Enola Gay", una fortezza volante, sganciò la bomba atomica su Hiroshima, ed avvenne quello che solo in parte, nella sua distruttività, era stato previsto. Era la prima prova di quell'arma sul campo, dopo gli esperimenti segreti. Scoppiò come previsto a circa seicento metri dal suolo, e fu l'apocalisse. Un fungo atomico, di dimensioni mai viste, generò un fascio di luce abbagliante ed un vento di tempesta. Morirono di colpo, in pochi istanti, circa ottantamila persone, per lo più civili. Uomini, donne e bambini. Almeno altrettante persone perirono nei giorni e nei mesi successivi, tra atroci dolori, per effetto delle radiazioni. Ci furono anche i sopravvissuti, che vissero ancora molti anni, e che in Giappone furono chiamati "esposti alle radiazioni", per accomunarli nella denominazioni a quegli altri che, pure esposti, erano deceduti. Volendo così comprendere, secondo la delicatezza dell'animo giapponese, i morti ed i vivi, nell'unico ricordo della tragedia.
Il pilota dell'Enola Gay" annotò sul diario di bordo, dopo lo sgancio dell'arma micidiale, "Dio mio, cosa abbiamo fatto?". La stessa domanda si scambiarono le unità dell'equipaggio che sganciò la seconda bomba atomica su Nagasaki.

leonardoagate1@gmail.com



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