A Roma si direbbe: levateje er vino. L’altro ieri i giornalisti dell’Espresso Piero Messina e Maurizio Zoppi si sono difesi davanti al consiglio dell’Ordine per la pubblicazione della presunta intercettazione bufala su Lucia Borsellino tra il governatore siciliano Rosario Crocetta e il primario Matteo Tutino. I due sono indagati per «pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico» dalla procura di Palermo e Messina pure per calunnia.
Eppure, nonostante tutto questo, il settimanale invece di chiedere scusa ai lettori per l’infortunio, il 31 luglio non ha trovato di meglio che pubblicare sul proprio sito un’inspiegabile lezioncina di giornalismo a chi quella topica non l’ha presa. Un lungo commento senza firma che quasi intenerisce. «Spiace, ma non siamo uguali a certe testate che hanno fatto campagne con obiettivi non giornalistici» scrive l’anonimo Bob Woodward della Garbatella, probabilmente ringalluzzito da un onesto Frascati.
E su di giri ci impartisce la prima lezione: la destra punta a «eliminare l’avversario politico» anche con «notizie palesemente false», mentre le bufale della sinistra progressista hanno intenti nobilissimi. Abbeveriamoci: «Noi de l’Espresso non avevamo e non abbiamo mai avuto alcun interesse né politico né personale a pubblicare ciò che siamo venuti a sapere su Tutino e Crocetta (cioè una bufala ndr). Lo abbiamo fatto esclusivamente per dovere giornalistico: il dovere di condividere con i lettori e con la società civile tutte le informazioni di cui eravamo entrati in possesso».
Ma come è stato possibile per questi campioni del giornalismo d’inchiesta stampare una notizia poi smentita da quattro diverse procure? Ecco la lesson two: «Quando, un giorno di luglio, i nostri cronisti ci hanno detto di aver ascoltato e riscontrato quella conversazione (…) abbiamo deciso di pubblicarla solo per trasparenza giornalistica» spiega il settimanale. Precetto innovativo: se un giornalista ti dice di «aver ascoltato e riscontrato» uno scoop che può destabilizzare un governo regionale, pur senza uno straccio di prova in mano, un direttore pubblica senza fiatare.
Essì perché la parola è quella dei premi Pulitzer dell’Espresso, mica dei killer di Libero o del Giornale. Il ragionamento è imbarazzante. Lo capisce persino l’estensore che concede: «L’assenza dell’audio della registrazione è di certo un elemento di debolezza per noi, di cui abbiamo piena contezza».
Sembra un segnale di rinsavimento. In realtà riparte il refrain: «Tuttavia l’intercettazione c’è stata: quindi siamo interessati prima di tutto noi a capire perché non si trova attualmente agli atti della procura di Palermo, domanda a cui al momento non siamo in grado di rispondere». Lesson three: dobbiamo credere all’esistenza dell’intercettazione come a un dogma perché l’ha scritto l’Espresso e solo per questo.
A questo punto il settimanale chiama in propria difesa l’avvocato che non ti aspetti, un «approfondito articolo» del sito Fanpage, non proprio il Washington post, «dove si dà atto che “Piero Messina è un giornalista di grande esperienza” e che “l’esistenza di questa intercettazione a Palermo era una sorta di segreto di Pulcinella”, per poi proporre la tesi che quella intercettazione sia stata “acquisita irregolarmente da apparati che hanno prima copiato, poi diffuso e infine distrutto quel materiale”».
Bum! Ma la ricostruzione di Fanpage ci regala altre chicche: «La redazione dell’Espresso, a questo punto, avrebbe deciso di attivare un nucleo di giornalisti esperti di antisofisticazione che si sarebbero mossi lungo un doppio canale di conferma per validare la veridicità dell’audio. Un primo ok sarebbe arrivato al comando del nucleo del settimanale da una fonte che avrebbe confermato e riletto il testo dell’intercettazione in una conversazione con un membro della redazione».
Scopriamo che l’Espresso ha un nucleo antisofisticazioni con tanto di «comando», neanche fosse il Nas dei carabinieri, ma poche prove in mano. Forse nessuna. Infatti Messina, subito dopo le prime smentite al suo scoop, è salito su un treno e ha raggiunto speranzoso un collega catanese, Mario Barresi, che aveva pubblicato i rumor su un’intercettazione pressoché identica a quella ipotizzata dall’Espresso, il famoso «segreto di Pulcinella».
Peccato che la fonte dello stesso Barresi non fossero i carabinieri, i servizi segreti o apparati deviati dello Stato, ma un consigliere regionale del Pd: «Il 30 giugno mi ha riferito parola per parola il testo della presunta intercettazione. Ho la registrazione. Se la procura mi convocherà, la metterò a disposizione». In attesa dei prossimi sviluppi del caso Crocetta, noi continueremo a divertirci con le dispense di giornalismo della Garbatella university.
Giacomo Amadori – Libero Quotidiano