Tributi comunali, aumento record in Sicilia: +93%. Lo denuncia la Corte dei Conti. L’aumento nasce dai «pesanti e ripetuti» tagli ai Comuni, non solo siciliani, che hanno raggiunto gli 8 miliardi negli ultimi cinque anni, e che hanno portato la tassazione locale ormai fino quasi al limite della loro “capacità fiscale”, arrivando a un peso del fisco che supera i 618 euro a testa.
Nell’ultimo triennio, scrivono i magistrati contabili nella relazione al Parlamento sulla finanza locale, c’è stato un «incremento progressivo della pressione fiscale» comunale, in Italia, passata dai 505,5 euro del 2011 ai 618,4 euro pro capite nel 2014. «I livelli massimi di riscossione tributaria» si registrano nei Comuni con più di 250mila abitanti (che sono 12 e rappresentano però il 23% della spesa complessiva dei Comuni), dove arriva a 881,94 euro a testa. Mentre nei piccolissimi centri (fino a 1.999 abitanti) si arriva a 628 euro per abitante, dato che indica come davanti a una limitata capacità fiscale – perché la base imponibile è ridotta – si assiste a una «rincorsa all’esercizio del massimo sforzo fiscale» per continuare a garantire i servizi essenziali anche di fronte ai tagli. La quota più bassa di riscossione fiscale si registra invece nei Comuni tra 5 e 10mila abitanti (511,76 euro pro capite) e in generale tutte le fasce intermedie si collocano sotto i 600 euro a testa. Gli incassi tributari, peraltro, sono quasi raddoppiati in Sicilia (+93,62%) tra il 2011 e il 2014 dove maggiore è stata la riduzione dei trasferimenti (-49,5%). Aumenti così «accentuati» della pressione fiscale, osserva però la Corte dei conti, si sono resi necessari «per conservare l’equilibrio in risposta alle severe misure correttive del governo». Anche se “scaricare” sui contribuenti lo sforzo chiesto a livello centrale è «un meccanismo distorsivo», i sindaci si sono trovati a fare fronte a «pesanti e ripetuti» tagli. Per i magistrati contabili «la crescita dell’autonomia finanziaria degli enti non sembra produrre benefici effetti né sui servizi, né sui consumi e sull’occupazione locale, in assenza di una adeguata azione di stimolo derivante dagli investimenti pubblici». Per questo invitano a recuperare «il progetto federalista che lega la responsabilità di “presa” alla responsabilità di “spesa”». Progetto «a cui è sicuramente funzionale la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, necessaria per superare definitivamente il criterio della “spesa storica”, ma che i più recenti interventi normativi non sembrano sostenere adeguatamente, andando nella direzione di una maggiore flessibilità dei bilanci, di una effimera ricostituzione della liquidità con oneri di rimborso a lunghissimo termine e di un alleggerimento degli oneri connessi alla neonata disciplina dell’armonizzazione contabile».