Non ho mai partecipato al coro di doglianze che si alza puntualmente quando un giornale chiude. Sono battaglie che non mi appassionano, e il più delle volte mi dà fastidio anche certa ipocrisia d’accatto. Si, sono un giornalista. Ma essendo giornalista di una generazione che ha imparato a fare i conti con articoli pagati dai cinque ai venti euro a pezzo, contratti iper precari, una generale corruzione del sistema, penso che quando un giornale chiude, si, chiude una voce libera e bla bla bla, ma è la legge del mercato, bellezza. Mi preoccupano più le querele temerarie, le minacce, certe richieste di risarcimento danni. Per il resto, detto in maniera brutale, se in edicola non vendi, non campi. Non c’entra nulla la libertà di informazione: oggi chi vuole può pubblicare quello che vuole – anche le cose più oscene e più false, ed è questo il vero problema – dove vuole. Purtroppo le vecchie gloriose testate del nostro panorama dell’informazione sono sempre campate al di sopra dei propri mezzi, con i copiosi contributi sull’editoria, le pubblicità delle lobby degli amici, e giornalisti con paghe da vip. Dobbiamo dircelo. Per colpa loro, che si sono magnati tutto, una generazione di giovani giornalisti, tra i quali anche gente bravissima, non arriva a fine mese.
Però l’ultima delle cicliche chiusure del quotidiano L’Unità, mi aveva messo un po’ di tristezza. Per tanti motivi: perché era il giornale che mio nonno ogni tanto comprava e leggeva nel retrobottega del suo salone, perché quando ero piccolo lo vedevo in mano a gente semplice, molti muratori dopo qualche giorno ne facevano simpatici cappelli che si mettevano in testa, perché L’Unità è sempre L’Unità, e qualcuno era comunista, per dirla con Gaber. Perché io la compravo sempre, con regolarità, fino al 2000, se ricordo. Ed era un buon “secondo” giornale.
Ho atteso dunque la nascita di questa nuova Unità. L’ho comprata per una decina di giorni, di fila, finché ho resistito. Poi ho smesso. Il giornale è illeggibile. E fin qui siamo capaci tutti. Ma ha un qualcosa di più che oggi mi fa scrivere questo appello: per favore, chiudete L’Unità.
Perché, per la storia che questo giornale ha rappresentato questa Unità non merita di stare in edicola. E gli auguro – per il bene che gli voglio – una chiusura veloce, senza l’agonia di nuove trattative, cordate, piani di salvezza. Chiudete presto. Qua non c’entrano nulla le idee, la libertà di stampa, eccetera. Qua c’entra la differenza tra un giornale fatto bene e un giornale fatto molto male.
Io non sono bravo a scrivere, ci provo. Quindi rimando per un’analisi approfondita a questo articolo di Christian Raimo, sul blog Minima et Moralia. Quello che mi addolora è vedere un giornale che è stata voce critica, a sinistra, per tante generazioni, diventare lo zerbino del “renzismo”, in maniera assolutamente prona. Si, qualcuno dirà, ma L’Unità una volta era “veltroniana”, “dalemiana”, e insomma è sempre stata, nel Pci – Pds – Ds – Pd, l’organo di chi aveva in mano il partito. Vero è. Ma teneva conto anche delle mille anime della sinistra, anche di quella non “ufficiale”. E poi essere zerbini del “dalemismo”, per dire, comportava comunque dei contenuti, se vogliamo dirla tutta. Il “renzismo” cos’è? Che valori ha? “Fare bene e fare presto” dice il premier. Si, ma cosa? Questo non è mai chiaro. E’ tutto un hashtag: sbloccaitalia, cambiaverso. La vera novità politica di questi mesi è che si sono mangiata la barra spaziatrice nella tastiera. Quello di Renzi è un governo “whatsapp”, tutto schiacciato sulla comunicazione più che sui contenuti. Tanto di cappello. Se avesse fatto Berlusconi un decimo di quello che ha fatto Renzi per ora saremmo pieni di paginate dei giornali contro i bavagli, picchetti dei sindacati e mega raduni al Circo Massimo, scuole occupate pure d’estate, magistrati in sciopero perenne, intellettuali indignati intruppati in girotondi e caroselli. Lo fa invece colui che rappresenta il nuovo e tutto è molto veloce perché possa essere contrastato, mentre chi lo fa (vedi i tanti insegnanti in questi mesi) è deriso al rango di “gufo”.
Ecco questa Unità in edicola in questi giorni qua rappresenta il renzismo.Una volta su un tema come la riforma della scuola l’Unità sarebbe stata una specie di dito nel culo del governo di centrosinistra che l’avesse attuata. Adesso invece l’editoriale sulla scuola chi lo firma? Il Ministro della Pubblica Istruzione, Giannini! Direte: ma è l’organo del Pd, cosa vuoi? Non è così. Perché un giornale, anche un organo di partito, ha una visione della società a cui tende, e se il partito sbaglia lo fa notare. Qua invece siamo oltre la parodia. Tutto ciò che Renzi fa è santo. Anche De Luca, è un martire della giustizia. E l’opposizione interna del Pd è trattata al rango di un’ accozzaglia di disperati e appestati, appunto, gufi, figli di una “cultura minoritaria“. E invece una volta era propria la cultura “minoritaria” ad essere il patrimonio della sinistra…
Non è questa l’Unità, non è stata mai questa. E’ stata un’altra cosa, un’altra storia. Nemmeno “L’Avanti!” ai tempi di Craxi era così. Nemmeno quello di Lavitola (lo facevano per prendersi i soldi dei contributi pubblici, mica per farlo leggere. Erano a modo loro più onesti intellettualmente…)Nemmeno “Il Giornale” regnante Berlusconi. Prendete “Il Foglio”, sappiamo tutti da che parte sta, chi lo scrive, ma ogni articolo trasuda intelligenza, perizia, ti fa arrabbiare perché dice delle cose che tu non vuoi leggere ma sulle quali sei costretto a riflettere.
Il sabato sul Foglio ci sono paginate di cose belle. Su L’Unità invece il sabato c’è la posta di Matteo Renzi! Proprio così, domande zuccherose, risposte lunghe un tweet. Si fanno prendere in giro pure da Libero. Oppure no, c’è il reportage sul “jobs act”. Sui licenziamenti facili? Ovviamente no sui “primi risultati positivi”. E oggi, infine, il colpo di grazia (per me): “La ripresa c’è, merito degli 80 euro”. Addio, Unità.
Non tutto va male nel Paese, e Renzi cose buone sta facendo per carità. Ma ad un giornale si chiedono idee e punti di vista, che questa Unità non ha. No, non può essere questa l’Unità. Il mercato farà il suo dovere, oggi un giornale così in edicola non campa molto. Ma sarà l’epilogo ridicolo di una storia importante. A meno che non ci dicano che in realtà è tutto uno scherzo. Stiamo leggendo Cuore, il grande inserto satirico che proprio dalle pagine de L’Unità ha visto la luce – e si chiamava Tango – ed è diventato una piccola pietra miliare del giornalismo nel nostro Paese. Si, è un esperimento, roba da geni della satira: proviamo a chiamarci L’Unità e a vedere cosa succede… Detto così, titoli cubitali come“Promossa la Buona Scuola” sono dei veri e propri capolavori. Stanno al giornalismo come Don Chisciotte (non a caso omaggiato nel primo numero: era un indizio!) alla storia della letteratura. E’ tutta una parodia per dimostrare la fine di un certo giornalismo epico, l’inizio di un’era nuova. Una sarcastica conclusione di tutto quello che fin qui ci ha preceduto. Allora si , questa Unità dovrebbe firmarla Cervantes.
Giacomo Di Girolamo
P.S.: Però sull’Unità di oggi (ecco qui la copertina) si parla, nelle pagine della cultura, finalmente di lotta di classe. Così i duri e puri trinariciuti sono contenti. Vi scrivo il titolo dell’articolo: “L’immortale tenente Colombo: il detective dell’ultima domanda, e della lotta di classe…”. Lo vedete che è come vi dicevo io! Perché, a pensarci bene, Colombo aveva sempre le mani dentro le tasche dell’impermeabile, ma teneva il pugno chiuso!
Sono quelli di Cuore! Sono tornati!!