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04/05/2015 06:35:00

Pansa: "Mafia oggi meno strutturata". Bankitalia: "Lotta alla mafia è una priorità"

 'La lotta alla criminalita' organizzata e' giusto che sia la priorita', ma oggi c'e' una criminalita' organizzata diversa, meno invasiva, pericolosa e organizzata rispetto a vent'anni fa, meno violenta e meno monolitica. Oggi ci sono organizzazioni magmatiche, gruppi di pressione in cui ci sono mafiosi e non, ci sono collusioni ma non piu' in modo strutturale e questo rende ancora piu' possibile sconfiggerli''. Lo ha detto il capo della polizia Alessandro Pansa, intervenendo oggi a un convegno sulla mafia in occasione del Salone della giustizia, a Roma.

''La mafia - ha proseguito Pansa - non e' ereditaria e oggi abbiamo gli anticorpi per sconfiggerla. Prima lavoravamo con il tifo contro, poi dalle stragi di Capaci e Via D'Amelio abbiamo il tifo a favore. Prima le famiglie erano piu' compatte, oggi un sistema così rigido non esiste più, almeno in Sicilia e Campania, perché' in Calabria questo si vede meno'', ha concluso.

BANKITALIA. La lotta alla corruzione e alla malapianta criminale sono e restano priorità per il nostro paese. E in questa lotta può avere un ruolo centrale il nostro sistema educativo: dalla scuola all'Università. È da qui che Salvatore Rossi, direttore di Banca d'Italia, comincia un articolato ragionamento su “Istruzione, legalità, sviluppo economico”. La sua è una lectio magistralis in occasione del lancio del corso in Economia e commercio che l'Università Lumsa inaugurerà in autunno a Palermo. Una lectio, in apertura del convegno “Università e sviluppo economico – Competenze, etica, legalità”, che diventa un'analisi dei limiti del nostro sistema educativo, della forza pervasiva delle mafie e delle organizzazioni criminali, delle debolezze del sistema paese a partire, appunto, dalla corruzione.

Punto per punto il direttore generale di Palazzo Koch mette in evidenza le questioni e offre spunti di riflessione su questioni cruciali. La scuola, oggi che il dibattito ruota sulla “buona scuola” che può incidere sulla riduzione della propensione degli individui a commettere crimini. Cita uno studio su dati americani e inglesi da cui si evince che «un incremento medio del dieci per cento degli anni di istruzione determini una riduzione di oltre il due per cento dei crimini contro la proprietà commessi dagli adulti tra 18 e 40 anni di età». Ma poi ci si ritrova nel caso italiano, studiato dai ricercatori di Banca d'Italia, ed emerge il paradosso, il dato che potremmo definire assurdo: «L'entrata in vigore nel 1999 della riforma Berlinguer – dire Rossi – che innalzò di un anno l'obbligo di frequenza scolastica, ha offerto l'occasione di un esperimento naturale: confrontare i tassi di criminalità minorile delle coorti di ragazzi coinvolti dalla riforma con quelli delle coorti precedenti. Si è allora stimato che se il tasso di scolarizzazione aumenta, ad esempio, di dieci punti percentuali, a parità di ogni altra condizione si ottengono effetti divaricati al Centro-Nord e al Sud: nella prima area del Paese la criminalità minorile scema del 13 per cento; al Sud sale quasi del 40 per cento». Dati che smentiscono, di fatto, quelli che possono sembrare ormai luoghi comuni ovvero che la frequenza scolastica salvi i ragazzi dalla strada e dunque possa dare loro una via più retta. Sul punto Rossi invita a fare un'attenta riflessione: «Questi risultati sollevano una questione rilevante di politica scolastica. Essi suggeriscono che nelle aree più infiltrate dalla criminalità può non bastare allungare il tempo dell'obbligo scolastico: ciò che è importante è la qualità dell'insegnamento che si impartisce, al cui centro vanno messi i valori civili di buon comportamento nella società».

E certo quello dell'istruzione è solo un aspetto di una questione molto più complessa che riguarda il sistema Paese che appare corroso dal malaffare con danni economici enormi anche se, dice Rossi citando la recente audizione parlamentare sul tema della criminalità del governatore di Banca d'Italia, «l'impatto economico più significativo della criminalità non consiste tanto nel valore di quanto prodotto attraverso attività criminali, ma, con effetti di ben più lungo periodo, nel valore di quanto non prodotto a causa delle distorsioni generate dalla diffusione della criminalità». Anche in questo caso ci vengono in aiuto i vari studi fatti nel recente passato sia sul fronte delle estorsioni sia sul fronte dei reati comuni. «Stimare i costi imputabili alla criminalità organizzata per l'economia nel suo complesso, quindi in termini di Pil perduto è ancora più complesso – dice Rossi -. La difficoltà analitica sta nell'isolare empiricamente gli effetti depressivi della presenza criminale da quelli dovuti a ogni altra causa». Ma anche qui, racconta il direttore generale di Banca d'Italia, ci sono ricerche che hanno provato a capire e spiegare cosa avviene: «Una ricerca recente ci ha provato usando una scorciatoia concettuale equivalente a un esperimento naturale: anziché concentrarsi sulle regioni italiane che sono storicamente afflitte dal fenomeno mafioso, la ricerca si è volta a due regioni (la Puglia e la Basilicata) in cui l'affacciarsi della criminalità organizzata su vasta scala è relativamente più recente, risalendo alla fine degli anni Settanta. Confrontando la performance economica delle due regioni prima e dopo il contagio con quella di regioni italiane del Centro-Nord dalle caratteristiche socio-economiche simili ma immuni dal contagio, si ricava come l'arrivo della grande criminalità abbia abbassato il sentiero di crescita delle due regioni di 16 punti percentuali in trent'anni, essenzialmente scoraggiando gli investimenti privati».

E ancora più grave è la situazione dove si è aggiunta la corruzione dei decisori pubblici. Il confronto tra la ricostruzione post terremoto del Friuli Venezia Giulia e dell'Irpinia è ormai un dato storico: il Friuli cresciuto di oltre 20 punti percentuali grazie ai fondi per la ricostruzione, l'Irpinia invece che ha perso almeno 10 punti percentuali a causa del ruolo svolto dalla criminalità organizzata. Meno noto è invece un altro studio, che porta sempre la firma dei ricercatori di Banca d'Italia, che ha investigato l'influenza della criminalità organizzata, sempre per via corruttiva, sulla allocazione degli incentivi pubblici alle imprese offerti dalla legge 488/92. «Classificando i vari comuni italiani per presenza criminale – dice Rossi -, rilevando i reati ex articolo 416 bis del codice penale (associazione a delinquere di stampo mafioso) e i casi di scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazione della criminalità organizzata (ex articoli 143 e seguenti del dlgs 267/2000) si trova che, a parità di altre condizioni, più criminalità è presente e più incentivi pubblici arrivano: non per maggior merito delle imprese riceventi, ma per cattive decisioni pubbliche, presumibilmente orientate da fenomeni corruttivi».



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