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29/04/2015 06:30:00

Antimafia e veleni. Parlano Crocetta e Lo Bello, dopo il nuovo caso Ferlito

 Come abbiamo raccontato ieri, la Procura di Catania ha chiesto il rinvio a giudizio per truffa con l’aggravante di avere agevolato l’associazione mafiosa di Salvo Ferlito, presidente dell’Ance Sicilia, l’associazione dei costruttori edili di Confindustria, in qualità di titolare della Comer costruzioni meridionali. Secondo l’accusa avrebbe fatto lavorare in sub appalto un’azienda confiscata alla mafia, senza poterlo fare.

La vicenda di Salvo Ferlito, presidente dell’Ance, si aggiunge  ad una serie di episodi che stanno coinvolgendo pezzi delle associazioni imprenditoriali che in Sicilia sono state attive negli ultimi anni per creare una coscienza contro la lotta al racket e una cultura imprenditoriale e sociale della legalità.  Oltre a Ferlito, gli altri episodi che vanno citati sono quelli dell’arresto di Roberto Helg, presidente della Camera di Commercio di Palermo, che predicava nei convegni antimafia, ma che si è fatto beccare mentre intascava una mazzetta da 100.000 euro. Ci sono poi le rivelazioni del quotidiano La Repubblica che coinvolgono il presidente regionale di Confindustria, Antonello Montante.

La svolta della legalità la cominciò, in Confindustria, Ivan Lo Bello, che al Corriere della Sera dice: «E’ una vergogna incrociare vicende tutte da riscontrare con inchieste su mazzette, ovvero episodi completamente scollegati fra loro».
Posizione analoga a quella di Rosario Crocetta, il presidente della Regione, che dichiara, sempre sul Corriere: «Non facciamo l’errore di criminalizzare il movimento antiracket in Sicilia. Sarebbe il colpo di grazia nei confronti di una Regione uscita dal dominio della mafia. In Sicilia su 150 mila imprese, soltanto 610 si sono iscritte alle associazioni contro la mafia. E si parla solo di queste 610. Ovvio che tante in passato hanno avuto dei rapporti border line. Comprando calcestruzzo dai mafiosi. Cercando protezione. Assumendo loro uomini, come accadde perfino a Zonin che poi denunciò. Per sua fortuna è veneto. Da siciliano, forse, ci avrebbe rimesso le penne. Ma proprio i siciliani che fanno il grande passo non possono essere chiamati a rispondere in eterno per le contraddizioni del loro passato. Abbiamo bisogno della collaborazione di chi non paga il pizzo e di chi non lo paga più. Viceversa, non avremo più un imprenditore pronto a fare il passo dei 610. E il rischio è il ricompattamento del potere mafioso».